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I tre filosofi-mistici degliinizi
Il proposito del Taoismo
Il Tao sfugge a ogni definizione
L’azione cosmogonica
L’Uno, il Due, il Tre
Il Tao che può essere nominato e che non può essere nominato
Il movimento del Tao
Impersonale e personale, in fluttuazione
Il Cielo-Terra: principio del mondo
Le due anime e il corpo immortale
L’inazione razionale e la conoscenza mistica
Lo spirito della valle
Agire il non agire
Agire il non agire nel governo dei popoli
Il modello del pargolo
L’ineluttabilità
La “somma carità” contrapposta a Confucio
Le tre cose preziose
Il timore della morte
Il corpo etereo, immortale Le tecniche yogiche e alchemiche per la lunga vita e l’immortalità
L’aldilà
La pratica della sessualità
La vita monastica
Note
Il Taoismo o daoismo (traslitterazione con il sistema
Pinyīn) nasce in Cina in un lungo contesto (VI-III, sec. a.C) di profonda crisi sociale e politica segnata dalla decadenza della dinastia Chou o Zhou. La dinastia non aveva più il vigore delle sue origini, ed era sotto la pressione dei grandi regni feudali, per altro in lotta tra di loro, e dell’emergente dinastia Qin che prevalse definitivamente nel 256 a.C.
Il Taoismo non è precisamente una religione, anche se a un certo punto ne ha poi i caratteri, ma piuttosto un insieme di sguardi mistico-filosofici, e di indicazioni per avere vita lunga e immortalità. Nella sua lunga storia non è dato di trovare una conformità omogenea di pensiero, benché si individui un alveo comune.
Per avere un approccio al Taoismo bisogna partire dai tre testi base (Tao Te Ching, Chuang tzu, Lieh-Tzu o Liezi), altrimenti ci si deve districare nelle posizioni delle varie scuole e il compito sarebbe enorme e non necessario per la comprensione della sostanza del Taoismo.
Il Taoismo iniziò con un’indole molto privata, eremitica, formando delle nicchie contemplative, per un’esperienza mistica di unione con il cosmico-divino.
Il Taoismo prese le mosse dalla tradizione religiosa cinese, focalizzandosi sul Tao, che come parola e concetto era già presente nella cultura cinese (sec. X a.C.), lo si ritrova infatti nel “Libro dei mutamenti“, dove il binomio (陰 e 陽)
Yin e Yang, nel loro contrapporsi dialettico, esprimono il Tao, come la loro più semplice combinazione.
Lao Tse (venerabile maestro), il tradizionale fondatore del Taoismo, pose invece la novità del Tao inteso come un Principio metafisico, atemporale, a cui fa capo lo
Yin e lo Yang.
In tal modo al posto della contrapposizione dialettica del “Libro dei mutamenti”, si ha una decisa unità armonica data dal Tao.
In generale lo Yin è l’opaco, il pesante; lo Yang è il puro, il leggero.
Tao è una parola intraducibile, ma che rimanda a via, principio, metodo. Il Taoismo pose tale realtà misteriosa, al vertice di ogni considerazione sull’esistenza.
L’influsso dello sciamanesimo su Lao Tze è affermato da molti, ma fa difficoltà il fatto che le ritualità, che Lao Tse considerava segni di decadenza, erano presenti nello sciamanesimo. Il ritorno a una antica e remota purezza perduta, includeva il prendere distanza dalle ritualità sciamaniche del suo ambiente. Tuttavia nel testo (Liezi, libro III) si può vedere la presenza di un mago di rango, venuto da lontano, che fa fare un’esperienza sovrasensoriale all’imperatore Mu di Chou (Zhou) (976-922 a.C.). Ciò dice che si avevano narrazioni su maghi del passato, culturalmente evoluti e con poteri straordinari, e che potevano essere rapportati a momenti di non decadenza, almeno individuale. La deviazione dalla via del Tao è pensata come un evento storico cultuale, e perciò, senza difficoltà, poteva ammettere delle eccezioni in eminenti personaggi. D’altra parte Lao Tse non intese fondare una religione, bensì correggere delle deviazioni storico culturali, riattivando la via del Tao. Di fatto però Lao Tse, con altri, fu il fondatore di una nuova religione, e non precisamente un restauratore.
Se però si considera il Taoismo successivo, il cosiddetto Taoismo religioso (道敎,
dàojiào), si rileva un più diretto influsso dello sciamanesimo cinese.
Il Taoismo non ignora, e non può ignorare, gli interrogativi profondi dell’uomo: da dove proviene, dove sta andando, il perché del dolore, della morte, l’origine delle cose. A questi interrogativi presenta delle risposte inadeguate, e con forte scarto rispetto alla Parola Biblica. Tuttavia, sappiamo che la misericordia di Dio non fa mancare luci dello Spirito Santo, pur filtrate attraverso le pesanti oscurità degli errori. Infatti, è giusto dire che le vie di Dio sono infinite, nel senso che si inseriscono nel cammino delle persone anche là dove pesano i condizionamenti degli errori, purché ci sia la retta intenzione della vita e la ricerca del vero, del buono e del giusto.
I tre filosofi-mistici degli inizi
Le dottrine Taoiste vengono fatte comunemente risalire a un filosofo-mistico, Lao Tzu o Lao Tse o Lao Tzi (老子). Il suo nome proprio sarebbe Li Er, essendo Lao tse (vecchio maestro) un titolo onorifico. A Lao Tse (uso il termine più diffuso) bisogna però aggiungere i filosofi-mistici Lie Yukou o Liezi (V sec. a.C) e Chuang Tzu (IV sec. a.C). La designazione di filosofi-mistici dovrebbe essere cambiata in mistici-filosofi, perché è carente in essi ciò che è proprio della filosofia, cioè la ricerca razionale della verità, per quel non poco, a cui la ragione può accedere. Essi rimasero nel vero dell’antica religiosità cinese, separandolo da ciò che ai loro occhi era caduco, fino a dargli una configurazione con impronte di novità. Possedevano una buona cultura e questo ha dato alle loro opere una veste intellettuale, ma non filosofica nel senso preciso del termine.
Il più noto dei tre è Lao Tse. Di lui si sa molto poco, e la prima fonte storica su di lui sono le “Memorie di uno storico” di Sima Qian, del I sec. a.C.
Secondo Sima Qian, Lao Tse sarebbe vissuto nel VI-V sec. a.C., contemporaneamente a Confucio. Lao Tse era l’archivista della biblioteca imperiale della dinastia Chou o Zhou. Lao Tse non avrebbe istituito una scuola vera e propria, ma sarebbe stato il maestro di più discepoli. Disgustato dalla vita corrotta della dinastia Zhou, all’età di 80 anni si sarebbe ritirato a vivere in solitudine.
A Lao Tse si attribuisce lo scritto “Tao Te Ching” (Libro della Via e della Virtù), tuttavia il testo, composto da poco più di 5000 logogrammi (alcune edizioni ne portano 6000), suggerisce delle stratificazioni, il che fa dire a diversi critici che venne scritto non al tempo di Confucio (551-479 a.C.), ma nel IV-III sec. a.C., Una datazione universalmente condivisa non c’è. Uno storico cinese Hu Shih (1937) ha difeso la datazione tradizionale al VI sec. a,C. - il cui valore non va gestito con disinvoltura -, e di conseguenza la contemporaneità con Confucio.
E’ uno scritto che non ha un susseguirsi ordinato di temi, ma non ha dei doppioni. Lo scritto è di buona fattura poetica. Il pensiero è espresso in maniera apodittica ed ermetica, tale da rendere necessaria un’attenta interpretazione. Lo scritto “Tao Te Ching” (TaoTC) è il principale testo base del Taoismo. La traduzione adottata è quella di Luciano Parinetto (1995).
(1)
A Lie Yukou, chiamato anche Liezi, è attribuito il testo “Lieh-tzu” o “Liezi” (Liezi), che risulta databile al IV sec. a.C. Gli antichi libri cinesi erano molto spesso titolati con il nome dell’autore. La traduzione adottata è quella in inglese di Lion Giles (1912), con confronti con la traduzione in inglese di Angus Charles Graham (1990).
A Chuang Tzu o Zhuangzi (Maestro Zhuang) viene accreditato, fondatamente, il testo “Zhuangzi” o “Chuang Tzu” (IV sec. a.C). La traduzione adottata è quella di Fausto Tomassini (1989).
Tao Te Ching, Zhuangzi o Chuang Tzu, Lieh-Tzu o
Liezi, sono i tre testi che presentano il pensiero fondamentale del Taoismo, il cosiddetto Taoismo filosofico (道家,
dàojiā), da distinguere dal Taoismo religioso, venuto successivamente (206 a.C - 220 d.C.), e inglobante elementi della religiosità popolare cinese. Di fatto il Taoismo nel succedersi dei secoli subì innesti dalla religiosità cinese, specie dopo la costituzione (II sec. a.C.) del Taoismo in Comunità organizzata, orientandosi al piano ritualistico, con accenti di occultismo, di divinazione astrologica e fortemente politeistico, pur considerando le divinità come emanazioni del Tao.
Il canone Taoista - per dire la complessità del Taoismo religioso - secondo le ultime informazioni è giunto a catalogare circa 5000 testi, che purtroppo hanno il difetto di non avere una chiara datazione cronologica, rendendo complicato il loro studio.
(2)
Questo lavoro si basa sui tre testi fondamentali, con il metodo guida della citazione dei passi caratterizzanti.
Il proposito del Taoismo
Il Taoismo esordì come separazione da ciò che di deviante (affiancamenti, intersecazioni rituali, morali) avrebbe oscurato l’antica vera nozione del Tao. Si legge infatti (TaoTC, cap. XVIII e cap. XXXVIII): “Quando il gran Tao fu negletto s'ebbero carità e giustizia, quando apparvero intelligenza e sapienza s'ebbero le grandi imposture, quando i sei congiunti non furono in armonia s'ebbero pietà filiale e clemenza paterna, quando gli stati caddero nel disordine s'ebbero i ministri leali”.
“Fu
così che perduto il Tao venne poi la
virtù, perduta la virtù venne poi la
carità, perduta la carità venne poi la
giustizia, perduta la giustizia venne
poi il rito: il rito è labilità della
lealtà e della sincerità e foriero di
disordine”,
Il senso di queste parole è che nel Tao
si trova ogni legge di comportamento.
Allontanandosi dal Tao gli uomini si
produssero nella ricerca della virtù,
che non è la “virtù
del vuoto”
(TaoTC, cap. XXI), ma l'elaborazione
dell'idea di un principio etico autonomo
dal Tao. Si passò poi a elaborare la
carità per la solidarietà tra gli
uomini. Poi si passò alla giustizia per
dare ordine e punizione. Apparvero poi
gli studi filosofici “intelligenza
e sapienza”,
che furono, al dire di Lao Tse,
strumento di impostura perché oscurarono
la conoscenza del Tao. Perduta la
giustizia incominciò la ritualità che
portò alla “labilità
della lealtà e della sincerità”,
cioè alla finzione. Il quadro di
decadenza catastrofica di Lao Tse non è
altro che una confutazione di ciò che
aveva appreso stando nella biblioteca
imperiale accanto ai potenti. Così viene
affermato che c’era agli inizi un tempo
dove regnava la perfezione degli uomini;
gli uomini veri dell’antichità, gli
uomini trascendenti, superiori,
immortali, la cui vita consisteva
nell’essere Tao. (TaoTC, cap. XVI):
“Chi
conosce l'eternità tutto abbraccia,
tutto abbracciando è equanime, essendo
equanime è sovrano, essendo sovrano è
Cielo, essendo Cielo è Tao”.
Tale situazione iniziale Lao Tse si
propose di restaurala allontandosi dalla
biblioteca imperiale per una vita
isolata, circondata solo da un gruppo di
discepoli, nel progetto di
un’alternativa di governo di uno Stato
basata sull’agire il non agire
(為無為 wei wu wei). “Agire il
non agire”, è di per sé un gioco di
parole, perché il non agire non equivale
a un agire. Il significato è però
questo: se non si agisce contro
l’armonia cosmica, andando così contro
la naturalità, allora si agirà
(l’agire quindi c’è) correttamente,
con ritorno di utilità. In seguito,
però, con lo strutturarsi del Taoismo in
Comunità organizzata, a partire dal II
sec. a.C., vennero riprese molte
componenti della religiosità cinese
prima scartate. Anche Confucio,
contemporaneo di Lao Tse, vide le
disfunzioni del suo tempo e cercò un
modello trovandolo nella situazione
felice di un antico passato, retto dai
mitici antenati, antichi re, buoni e
giusti, che agirono da virtuosi,
garantendo pace e benessere ai popoli,
essi testimoniavano la possibilità di re
giusti nel governo degli Stati. Così
Confucio ebbe a cuore la socialità
dell’uomo, le relazioni umane, le virtù
della carità, della giustizia, della
lealtà, per creare, con un’etica,
l’armonia tra gli uomini, e quindi
l’armonia con il cosmo.
Indubbiamente, Lao Tse e Confucio non
sono combacianti. Confucio guarda
positivamente agli affetti del cuore
degli uomini, come grande risorsa
sociale e fa leva sulle virtù,
promuovendo un’etica sociale. Lao Tse
rigetta i potenti e parte dalla visione
dell’armonia cosmica alla quale erano
uniformati antichi mitici uomini. L’uomo
deve uniformarsi all’armonia cosmica,
estinguendo con la “virtù
del vuoto”
le passioni del cuore, viste come
deformazioni culturali assorbite. Chiaro
che Lao Tse confonde le passioni viziose
con gli affetti propri del cuore umano.
Da qui la radice del non intendersi con
Confucio. Lao Tse non rinuncia però alle
virtù in sede di concretezza sociale, ma
le vede come delle subordinate pratiche
all’uniformarsi all’armonia cosmica.
Confucio, come già detto, crede invece
che i potenti, fedeli a se stessi e agli
altri, possano essere leali, virtuosi,
sinceri come i grandi re dell’antichità,
e non ipocriti secondo il permanente
sospetto di Lao Tse.
Il Tao sfugge a ogni definizione
(TaoTC, cap.
XIV): “A
guardarlo non lo vedi, di nome è detto
l'Incolore. Ad ascoltarlo non lo odi, di
nome è detto l'Insonoro. Ad afferrarlo
non lo prendi, di nome è detto
l'Informe. Questi tre non consentono di
scrutarlo a fondo, ma uniti insieme
formano l'Uno. Non è splendente in alto
non è oscuro in basso, nel suo volversi
incessante non gli puoi dar nome e di
nuovo si riconduce all'immateriale. È la
figura che non ha figura, l'immagine che
non ha materia: è l'indistinto e
l'indeterminato. Ad andargli incontro
non ne vedi l'inizio, ad andargli
appresso non ne vedi la fine. Attieniti
fermamente all'antico Tao per guidare
gli esseri di oggi e potrai conoscere il
principio antico. È questa l'orditura
del Tao”.
“Questi
tre”
sono “l’Incolore”,
“l’Insonoro”,
“l’Informe”.
Il Tao non ha colore per essere visto;
non ha suoni per essere udito; non ha
forme per essere determinato come le
cose. “L’orditura del Tao” è il
suo modo di agire. Non è percepibile, ma
pur agisce, non contraddicendo
all’impianto cosmico.
L’azione cosmogonica
(TaoTC, cap. XXV): “C’è
qualcosa che completa nel Caos, il quale
vive prima del Cielo e della Terra. Come
è silente, come è vacuo! Se ne sta
solingo senza mutare, ovunque s'aggira
senza correr pericolo, si può dire la
madre di ciò che è sotto il cielo. Io
non ne conosco il nome e come
appellativo lo dico Tao”.
Il Tao eterno esiste prima del Cielo
e della Terra, vuoto di ogni cosa. E’
vuoto, ma non è il nulla. Dal Tao
scaturisce il Caos. Il Caos è completato
- “C’è
qualcosa che completa nel Caos”
- dal Tao mediante l’azione dello
Yin e dello Yang (陰 e 陽),
connessa all’energia vitale prima ((無極
wuji) non polarizzata (Wu
significa assenza; Ji significa
polarità) nella trasformazione in Qì
(soffio vitale, forza della vita, etere)
quale componente essenziale del Caos, e,
quindi, bipolarizzata (taiji)
in Yin e Yang, Con
tale azione Yin-Yang il Caos viene
organizzato nell’ordine cosmico.
L’energia vitale (Qì), o forza
della vita, va intesa come un’energia
sui generis, non omologabile
all’energia della fisica, qual è quella
atomica o quella elettromagnetica. Essa
è la forza vitale che scorre per
l’universo e che non è distinta dal Tao,
essendo Tao. Lo Yin è il
nero, l’oscuro, la concentrazione, la
staticità, il freddo, la luna, il
femminile, il passivo, il pesante, la
terra, l'acqua, l'ombra. Lo Yang
è il bianco, la luce, il sole, il fuoco,
l’espansione, il movimento verso l’alto,
il caldo, il maschile, l’attivo, il
leggero, ecc. Con lo Yin e
lo Yang si attua, cioè si ha
l’azione di completamento, la
distinzione degli elementi confusi, e
l’ordine e il procedere delle cose.
(Liezi, libro I): “Gli
elementi più puri e più leggeri,
tendenti verso l'alto, rendevano i
Cieli; gli elementi più grossolani e
pesanti, che tendevano verso il basso,
formavano la Terra”.
Gli elementi base della materia: acqua,
legno, fuoco, metallo, terra,
confluiscono nelle varie configurazioni
cosmiche. Il testo Liezi, circa la
relazione tra il Tao e il Caos, pone “un
inizio primordiale”
dove c’era “una
grande semplicità”,
cioè assenza di forme e di limiti;
questa grande semplicità era anche “un
grande principio di cambiamento”,
che da “uno
passò a sette e da sette a nove”
- (Graham pag. 18: “From
one altered to sevenfold, from sevenfold
to ninefold”)
- cambiamenti che produssero la
primordiale materia, l’energia vitale
Qì (soffio, energia vitale,
etere), le forme, ma tutto in stato
di Caos. (Liezi, libro I; Graham, pag
18): “Soffio
(Qì), forma e sostanza erano completi,
ma le cose non erano ancora separate
l'una dall'altra; da qui il nome "Caos".
Caos significa che la miriade di cose
sono state confuse e non ancora separate
l'una dall'altra”.
Con chiarezza si ha che il Caos materico
ed energetico procede da un processo di
cambiamento del Tao, che però non muta
nel suo essere iniziale. Chiaro il
panteismo, che è del tutto funzionale al
misticismo di volere percepire
fisicamente la divinità. La filosofia
Taoista è modellata in primis
dall’esperienza psico-subliminale,
dove la ragione è fatta tacere, e non
include una preoccupazione astrofisica
della fenomenologia del cosmo, che vada
oltre l’astrologia e l’apparire dei
fenomeni. La legge causa-effetto è messa
da parte dalla contemplazione Taoista,
per essa è il Tao che agisce con lo
Yin-Yang. Il (Liezi, libro I)
presenta l’azione del Tao per mezzo
dello Yin-Yang e delle quattro
stagioni: "Quello
che è prodotto non può che continuare a
produrre; evoluto non può che continuare
ad evolversi, quindi c'è una produzione
costante e un'evoluzione costante: la
legge della produzione costante e
dell'evoluzione costante in nessun
momento cessa di funzionare. Così è
con lo Yin e lo Yang, così è con le
Quattro Stagioni”.
Il Tao ha l’attitudine a formare le
cose. (TaoTC, cap. XXI): “Oh,
come indeterminato e indistinto nel suo
seno racchiude le immagini! Oh, come
indistinto e indeterminato nel suo seno
racchiude gli archetipi! Oh, come
profondo e misterioso nel suo seno
racchiude l'essenza dell'essere! Questa
essenza è assai genuina, nel suo seno ne
racchiude la conferma”.
Il Tao ha nel suo seno le immagini
delle cose, cioè gli “archetipi”
delle cose. Le cose confuse nel Caos
hanno degli “archetipi”,
che avranno poi il loro compimento con
l’azione dello Yin e dello
Yang. “L’essenza
dell’essere”,
cioè dell’essere delle cose, sta nel
seno del Tao, poiché da tale seno, come
grembo di madre, procedono. Tutta la
realtà cosmica è pervasa dal Qì
nella bipolarità Yin-Yang. Ciò
“conferma”,
nel tempo, che è senza fine, la
manifestazione dell’essenza “assai
genuina”
del Tao. Il Tao si configura come
l’Indeterminato e l’Indistinto; cioè non
determinato da nessuna cosa, e tuttavia
non distinto da esse. In tal modo si ha
non il panteismo, (πᾶν "tutto"
θεός "Dio”), ma una forma di
panteismo: il panenteismo (πᾶν "tutto",
ἐν "in", θεός "Dio”). Questo
testo del (Liezi, libro I) è molto
chiaro circa la coesistenza di panteismo
e panenteismo: "Ciò,
quindi, che genera tutte le cose è di
per sé non trasmesso, ciò per cui tutte
le cose si evolvono è esso stesso
intatto dall'evoluzione. Autogenerato e
autoevoluto, ha in sé gli elementi di
sostanza, apparenza, saggezza, forza,
dispersione e la concentrazione
cessazione, ma sarebbe un errore
chiamarla con uno di questi nomi”.
E’ autogenerato e
autoevoluto circa gli elementi di
sostanza ecc. ed è uno con essi; con ciò
si ha il panteismo; non è però racchiuso
negli elementi poiché gli elementi sono
in lui, e agisce libero in
essi, e con ciò si ha il panenteismo.
Il Tao, pur uno con la realtà
cosmica, ha quindi il Qì libero
(trascendenza nell’immanenza) di
muoversi per il cosmo per nutrirlo con
esso come “madre
di ciò che è sotto il cielo”
(TaoTC, XXV). Tutto ciò Lao Tse lo
avvolge nella nuvola del “mistero
del mistero”,
e dentro la “porta
di tutti gli arcani”
(TaoTC, cap. I).
(3)
L’Uno, il Due, il Tre
Nel (TaoTC, cap. XLII) si legge questo processo formatore del cosmo: “Il Tao generò l'Uno, l'Uno generò il Due, il Due generò il Tre, il Tre generò le diecimila creature. Le creature voltano le spalle allo Yin e volgono il volto allo Yang, il Ch'i infuso le rende armoniose”.
L’Uno generato da Tao è il Caos. Il Due generato dall’Uno, che ha presente come costitutivo il
Qì, è lo Yin e lo Yang. Il Tre generato dal Caos per mezzo dello
Yin-Yiang è il Cielo-Terra. Il
Tre generò le “diecimila
creature”,
tra le quali l’uomo. “Il
ch’i (Qì) infuso”
è l’energia che sorregge lo Yin-Yang
facendo sì che le “diecimila
creature”
siano in armonia. “E’ infuso”,
perché è dentro la bipolarità
Yin-Yang. Le cose prodotte
volgono le spalle allo Yin e si
volgono allo Yang, poiché
scaturiscono dalla “porta
della misteriosa femmina”
(TaoTC, cap, VI), che segna l’uscita
delle cose dal Caos, per opera dello
Yin e dello Yang. Le cose
voltano le spalle allo Yin e
volgono il volto allo Yang. Il
femminile è Yin e tende al
maschile Yang. Lo Yang
ha, tuttavia, in sé un germe di Yin
e lo Yin ha un germe di
Yang, così che si ha Yin
verso lo Yang, ma dallo
Yang si ritorna allo Yin.
L’emblema taoista dello Yin-Yang
pone nel bianco un punto nero e nel
nero un punto bianco. Il che dice
che in entrambi c’è un germe
dell’opposto, e quindi una connessione
complementare. La notte (Yin)
tende al giorno (Yang) dalla
forza del sole, ma poi il giorno ritorna
alla notte. Il freddo (Yin)
tende al caldo con la forza del fuoco,
ma poi il caldo ritorna al freddo (Yang).
(4)
Il Tao che può essere nominato e che non
può essere nominato
Il Tao è
il Principio del Caos ed è il Principio
dell’ordine formato dal Caos. (TaoTC,
cap, I): “Senza
nome è il Principio del Cielo e della
Terra”.
(TaoTC, cap. LII): “Il
mondo ebbe un principio che fu la madre
del mondo”.
Il Principio del mondo è il Tao, “che
fu la madre del mondo”,
che è la “femmina
misteriosa”,
che agisce con il non agire (TaoTC, cap,
VI: “La
porta della misteriosa femmina è la
scaturigine del Cielo e della Terra”.
Dall’azione del Tao nel Caos con lo
Yin Yang procede il Tao che può
essere nominato, cioè il Tao
connesso alla realtà cosmica visibile.
il Tao che non può essere nominato
è lo stesso che può essere nominato,
ma è “l’eterno”
in quanto fuori dal tempo cosmico, tempo
che procede all’infinito. Tao (TaoTC,
cap, I): “Il
Tao che può essere detto non è l'eterno
Tao, il nome che può essere nominato non
è l'eterno nome”.
(TaoTC, cap I): “Senza
nome è il principio del Cielo e della
Terra, quando ha nome è la madre delle
diecimila creature (esseri innumerevoli)”.
Il Tao non ha nome quale principio del
Cielo e della Terra. Quando ha nome, è
Cielo-Terra ed è la madre delle “diecimila
creature”,
cioè tutto ciò che è tra il Cielo e la
Terra. (TaoTC, cap.I): “Senza
nome è il principio del Cielo e della
Terra, quando ha nome è la madre delle
diecimila creature (…). Quei due (Cielo
e Terra) hanno la stessa estrazione
anche se diverso nome ed insieme sono
detti mistero, mistero del mistero,
porta di tutti gli arcani”.
(TaoTC, cap. XXXII): “Il
Tao in eterno è senza nome, è grezzo per
quanto minimo sia, nessuno al mondo è
capace di fargli da ministro. Se
principi e sovrani fossero capaci di
attenervisi, le diecimila creature da sé
si sottometterebbero, il Cielo in mutuo
accordo con la Terra farebbe discendere
soave rugiada e il popolo, senza alcuno
che lo comandi, da sé troverebbe il
giusto assetto”.
Il Tao eterno è senza nome perché
gli si può dare nome solo da ciò che si
vede (TaoTC, cap. I). “E’
grezzo”
perché non ha in sé alcuna forma, che
scaturirà dal suo completare il Caos
diventando il Tao che “ha
nome”,
tuttavia ha in sé gli “archetipi”
(TaoTC, cap, XXI). “Per
quanto sia minimo”,
Il Tao “ha
nome”
nelle cose visibili, ma pur in eterno “è
senza nome”.
In eterno è “minimo”
cioè non si impone, ma tuttavia non si
può influire su di lui poiché “nessuno
al mondo è capace di fargli da ministro”,
cioè di dargli consiglio e guida.
Con ciò chi vede il Cielo e la Terra e
le diecimila creature vede il Tao, che
può essere nominato, ma che tuttavia è
anche quello senza nome,
definito da Chuang Tzu il “Grande
Vuoto”
di cose (Chuang Tzu, libro VII, cap.
XXII). Il mistico taoista guardando le
cose (volta stellata, sole, luna, ecc),
cioè il Tao che si può nominare, è preso
dalla suggestione del vuoto-pieno:
Il pieno immerso nel vuoto;
l’essere delle cose nel non-essere delle
cose, appunto nel vuoto, che però a
rigore non è il nulla, poiché
l’indefinibile Tao non è il nulla.
(TaoTC, cap II): “Essere
e non-essere si danno nascita fra loro”,
poiché uno rimanda all’altro. Ne risulta
un’esperienza di condizionamento
psico-subliminale che presuppone la
pratica della virtù del vuoto (TaoTC,
cap. XXI ): “Il
contenere di chi ha la virtù del vuoto
solo al Tao s'adegua”.
“Il
contenere”
(l’energia Qì del Tao) è dato
dalla “virtù
del vuoto”
(vuoto dell’ego, rivolto a raggiungere
il risultato del sussistere immortale
dello stesso). La “virtù
del vuoto”
è un sintonizzarsi col Tao. (TaoTC, cap.
IV): “Il
Tao è vuoto e non è mai pieno”.
Questo testo del (TaoTC, cap. XVI) è
di guida per comprendere quanto detto: “Arrivare
alla vacuità è il culmine, mantenere la
quiete è schiettezza: le diecimila
creature insieme sorgono ed io le vedo
ritornare a quelle, quando le creature
hanno avuto il lor rigoglio ciascuna fa
ritorno alla sua radice. Tornare alla
radice è quiete, il che vuol dire
restituire il mandato, restituire il
mandato è eternità. Chi conosce
l'eternità è illuminato, chi non la
conosce insensatamente provoca sventure.
Chi conosce l'eternità tutto abbraccia,
tutto abbracciando è equanime, essendo
equanime è sovrano, essendo sovrano è
Cielo, essendo Cielo è Tao, essendo Tao
a lungo dura e per tutta la vita non
corre pericolo”.
Le “diecimila
creature”
hanno un corso nel giorno-notte, nella
luce-buio, nel caldo-freddo, ecc., sia
nelle quattro stagioni, per poi
ritornare ai momenti precedenti “a
quelle”.
Dallo Yin allo Yang,
per poi passare dallo Yang allo
Yin. Lo Yin è la
radice dello Yang e lo Yang
è la radice dello Yin. E’ un
restituire reciprocamente e eternamente
“il
mandato”.
La conoscenza di ciò è luce, perché
fa vedere l’armonia a cui bisogna
adeguarsi per vivere a lungo. “Chi
conosce l’eternità tutto abbraccia”,
cioè comprende tutto il processo di base
che è lo Yin-Yang. Comprendendo
tutto è “equanime”
cioè non ha sbilanciamenti di
valutazione, essendo sovrano delle
passioni dell’avere, del potere. Poiché
è sovrano è Cielo, cioè in alto, essendo
in alto (Cielo) è Tao, perché il Tao sta
al vertice e all’origine di tutto.
Il movimento del Tao
(TaoTC, cap. XXV): “Se ne sta solingo senza mutare, ovunque s'aggira senza correr pericolo, si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo. Come è silente, come è vacuo! Se ne sta solingo senza mutare, ovunque s'aggira senza correr pericolo, si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo. Io non ne conosco il nome e come appellativo lo dico Tao. Ma Io non ne conosco il nome e come appellativo lo dico Tao, sforzandomi a dargli un nome lo dico Grande. Grande ovvero errante, errante ovvero distante, distante ovvero tornante”.
La madre che è sotto il cielo è il Tao che agisce con il
Qì nella bipolarità Yin-Yang.
In (Chuang Tzu, libro VII, cap.
XXII) si ha che l’inconoscibile Tao non
ha limiti al pari degli enti modellati.
Modella, partendo dal Caos, gli enti
limitati, ma in connubio di relazione
con essi, poiché è il limite
dell’illimitatezza, cioè il limite è
dentro l’illimitatezza, e nel contempo
l’illimitatezza è nel limite, poiché il
limite trova nell’unione con il Tao
l’illimitatezza: “Come
è inconoscibile il gran vuoto. Il gran
sapiente vi penetra, ma non sa dove
abbia limite. Colui che modella le
creature non ha i limiti delle creature,
eppure modella ciò che ha un limite. E’
detto modellatore dei limiti. Esso è il
limite dell’illimitatezza e
l’illimitatezza del limite”.
Chuang Tzu pensa a un cosmo (pieno)
contrapposto al gran Vuoto, cioè il Tao
vuoto di cose, che però non è il nulla.
(Chuang Tzu, libro I, cap. II): “Il
Cielo e la Terra e io viviamo insieme,
le diecimila creature ed io siamo l’Uno”.
(Chuang Tzu, libro VI, cap. XXII): “Quel
che viene detto Tao dove sta? Non v’è
nulla in cui non stia”.
(Chuang Tzu, libro V, cap. XII): “E’
il Tao che copre e sostiene le diecimila
creature. Che immensa grandezza”.
(Chuang Tzu, libro VI, cap. XVII): “Nelle
creature la dimensione non ha limite, il
tempo non ha sosta, la sorte non ha
costanza, il principio e la fine non
hanno motivo”.
“La
dimensione non ha limite”
vuol dire che il piccolo e il grande
sono indifferenti essendo che
l’illimitato, nel binomio
completante-completato (TaoTC, cap.
XXV, vedi sopra), è uno con il limitato,
ed è causa delle variazioni del
limitato. E’ sottolineata la
mancanza delle cause seconde, immanenti
alle cose create. Chi agisce è il Tao;
gli effetti sono tanti, ma la causa è il
Tao. Nel (TaoTC, cap. XL) si legge: “Il
tornare è il movimento del Tao, la
debolezza è quel che adopra il Tao. Le
diecimila creature che sono sotto il
cielo hanno vita dall'essere, l'essere
ha vita dal non-essere”.
“Il
tornare è il movimento del Tao”,
esso si attua nel binomio Yin-Yang.
E’ “debolezza”
perché non è attività di sforzo, di
impeto, ma di armonia. Si ha un
susseguirsi armonico di atti
Yin-Yang che percorre tutto del
cosmo. “Le
diecimila creature hanno vita
dall'essere”,
cioè dal Cielo-Terra generato dal Tao
(TaoTC, cap. XLII). “L'essere
ha vita dal non-essere”,
cioè dal Tao che è vuoto di cose, e che
“perciò
non può essere detto”.
La mano prima e ultima che agisce nel
cosmo è il Tao. Lao Tse non
considera la realtà delle cose nel loro
proprio essere, nella loro natura, che
pur vede, ma si ferma sulla loro
fenomenologia. Lao Tse è preso dal
divenire. Lo scritto (Liezi, libro
I) presenta il movimento del
Tao in termini di catena ininterrotta
delle produzioni e delle trasformazioni:
“C'è
un Principio produttore che non è stato
prodotto, c'è un Principio trasformatore
che non è stato trasformato. Il
Principio produttore ha dato inizio al
processo di produzione, e non può più
non produrre. Il Principio trasformatore
non può che continuare a trasformare.
Quindi c'è produzione ininterrotta e
trasformazione ininterrotta. La catena
della produzione costante e della
trasformazione costante in nessun
momento cessa di funzionare. Così è
con lo Yin e lo Yang, così è con le
Quattro Stagioni”
La fonte delle produzioni e
trasformazioni è il Tao, che non in sé
non stato prodotto e non è stato
trasformato, ma si è autoevoluto e
autotrasformato dando origine al Caos.
Dal Caos il Cielo-Terra e da essi le “diecimila
creature”,
soggette al processo delle produzioni e
trasformazioni, Tale processo è
incessante per il principio di
produzione e trasformazione uscito dal
Tao, cioè lo Yin-Yang. Le
quattro stagioni sono un modulo per le
trasformazioni. È un continuo divenire,
senza un eschaton, cioè senza
un evento finale.
Impersonale e personale, in fluttuazione
Questo testo è illuminante sull’azione del Tao. (TaoTC, cap. XXXIV): “Come è universale il gran Tao! può stare a sinistra come a destra. In esso fidando vengono alla vita le creature ed esso non le rifiuta, l'opera compiuta non chiama sua. Veste e nutre le creature ma non se ne fa signore, esso che sempre non ha può esser nominato Piccolo. Le creature ad esso si volgono ma esso non se ne fa signore, può esser nominato Grande. Poiché giammai chi si fa grande può realizzare la sua grandezza”.
Il Tao non è presentato come un tu di fronte al quale si pone in dialogo l’io dell’uomo, tuttavia, come
l’io dell’uomo non può che esistere, come tutti gli uomini immediatamente sanno, così il Tao non appare definitivamente inteso come impersonale, ma è pur, ineludibilmente, inteso come
un tu. Le divinità Taoiste sono emanazioni del Tao e sono impersonali, nel senso che seguono il corso cosmico avendone una funzione, ma pur hanno una chiara valenza personale, comprovata dagli inni di glorificazione dello stesso Tao. Il libro liturgico “Tao-tsang” ha varie liturgie di ringraziamento e di richiesta fiduciosa al Tao. A Yu Huang, sovrano supremo del Cielo, capo del pantheon Taoista, si offrono incenso, fiori, candele, e si fanno preghiere per ricevere favori.
Questo è molto importante perché rimane sempre nell’uomo la vocazione
all’io-tu con Dio.
(5) (TaoTC, cap. VII): “Il Cielo è perpetuo e la Terra perenne. La ragione per cui il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne è che non vivono per se stessi: perciò possono vivere a lungo. Per questo il santo pospone la sua persona e la sua persona viene premessa, apparta la sua persona e la sua persona perdura”.
Il Cielo e la Terra sono impersonali, e solo letterariamente sono personali, ma pur qualcosa di personale si intravvede. Cielo e Terra provengono dal Caos, ma hanno il Tao come loro attore poiché “non vivono per se stessi”, cioè sono relativi al Tao, che è uno con loro.
Cielo-Terra sono un riferimento al comportamento del saggio, che deve posporre la sua persona al Tao, affinché la sua persona venga innalzata. Il santo “apparta la sua persona” (il vuoto dell’io, per l’immortalità fisica dello stesso io) per accogliere l’energia
Qì, così che la sua persona “perdura”, cioè ha lunga vita e raggiunge l’immortalità di sé.
(TaoTC, cap. V): “Il Cielo e la Terra non usano carità, tengono le diecimila creature per cani di paglia. Il santo non usa carità tiene i cento cognomi per cani di paglia”. Anche in questo passo Il Cielo e la Terra, impersonali, hanno una
valenza personale. Le diecimila creature - tra le quali gli uomini - non si trovano perenni davanti al Cielo-Terra, ma sono come “cani di paglia”. I cani di paglia venivano fatti con grande arte per le ritualità funerali e poi venivano distrutti. Le “diecimila creature” soggiacciono al Cielo-Terra: sono, ma sono solo
apparizione allo stesso tempo, in un continuo divenire. Ciò è un riferimento comportamentale per il saggio di fronte ai grandi della terra “i cento cognomi”, che sono e non sono, poiché passano come “cani di paglia”. ”Non usano carità” nel senso che il Cielo e la Terra, che sono perenni, non conservano come perenni le “diecimila creature” soggette al perenne
Yin-Yang.
Il Cielo-Terra: principio del mondo
(TaoTC, cap, LII): “Il mondo ebbe un principio, che fu la madre del mondo. Chi è pervenuto alla madre da essa conosce il figlio, chi conosce il figlio e torna a conservar la madre, fino alla morte non corre pericolo”. Il “principio” del mondo è il Cielo-Terra, che è “la madre del mondo”, la quale ha il
Qì (“il figlio”), conosciuto da chi “è pervenuto” alla “madre”. Il
Qì lo si conosce dal Cielo-Terra, poiché tra i due il
Qì agisce nello Yin-Yang. Chi conosce il
Qì (lo spirito vitale) nel suo agire
Yin-Yang, conserva
“la madre”, cioè il suo corpo, che è una delle “diecimila creature”, e quindi ha lunga vita poiché si sintonizza con l’armonia cosmica. (TaoTC, cap. VII): “Il Cielo è perpetuo e la Terra perenne. La ragione per cui il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne è che non vivono per sé stessi: perciò possono vivere a lungo”.
Il Cielo e la Terra sono perenni, in quanto generati dal Tao e in quanto non si antepongono a lui: “non vivono per se stessi”, poiché il loro essere è il Tao.
(TaoTC, cap. XVI): “Le diecimila creature insieme sorgono ed io le vedo ritornare a quelle, quando le creature hanno avuto il lor rigoglio ciascuna fa ritorno alla sua radice”. Le “diecimila creature insieme sorgono”, cioè tutte sorgono, dove il sorgere equivale ad apparire. “Io le vedo ritornare a quelle”: le piante muoiono finendo nell’indeterminato, ma ritorna a prodursi il determinato, cioè altre piante. I fiumi ritornano ad essere fiumi. Anche l’uomo sorge e poi declina e muore passando così dal determinato all’indeterminato, e poi dall’indeterminato sorge un altro uomo.
C’è una ciclicità di esistenza negli innumerevoli esseri. Tale ciclicità non porta però mai al
punto zero della partenza: è un venire e un ritornare, senza che ci sia una fine al
punto zero e una nuova ripartenza dal
punto zero; è come se ci fosse un lento procedere elicoidale (Chuang Tzu, libro V, cap. XIV): “Non ha coda alla fine né capo all’inizio, ora è morte ora è vita, ora è caduta ora è ascesa, le quali non hanno limite nella loro perpetuità”. (Liezi, libro I): “Non c'è né inizio né fine”. “Il corso dell'evoluzione finisce dove è iniziato, senza un inizio”.
Il corpo dell’uomo non fa eccezione a questo, tuttavia se
pratica il Tao (espressione
comune TaoTC, cap. XXIV, XXXI, XLI,
XLVIII, LXV, LXXVII. Equivale a dire
seguire la via, il metodo, il principio,
poichè Tao, rimanda a via, metodo,
principio) fa germinare in se stesso un corpo immortale. L’immortalità lo sottrae alle “diecimila creature” e lo congiunge al Cielo, che, al pari della Terra, non perisce.
Le due anime e il corpo immortale
(TaoTC, cap. X): “Preserva l'Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?”.
Preservare l’Uno è preservare la propria unione
di essere con il Tao, che è l’Uno. Le due anime sono quella spermatica e quella aerea. Esse restano unite se
si pratica il Tao. L’anima spermatica, materica, è data dal
Qì microcosmico connesso al seme maschile, e viene dalla Terra. Oggi il Taoismo si è aggiornato ponendo anche il gamete femminile. L’anima spermatica è il principio dello sviluppo dell’embrione nel grembo materno. Dopo il parto il neonato inizia a respirare aria, e da ciò nasce l’anima aerea
che viene dal Cielo. L’uomo viene dal Cielo-Terra. In (Liezi, libro I) si legge: “L’elemento spirituale nell’uomo è assegnato a lui dal Cielo, la sua struttura corporea dalla Terra”.
Nella condizione di purezza delle origini gli uomini veri mantenevano unite le due anime e da ciò la formazione del corpo immortale, immanente a quello mortale.
L’aria per il Taoismo non è solo fonte dell’ossigeno, ma anche del
Qi (soffio vitale, energia cosmica, corrispondente al
prana dell’induismo e buddhismo). Il
Qì respirato, ma anche è presente negli alimenti, è trasmesso ai vari organi del corpo, che già si sono formati per il
Qì seminale. Il Qi viene a possedere nei vari organi una pluralità, che ne garantisce la vitalità e la relazione tra di loro. Esiste così il corpo materiale vitalizzato dal
Qì. L’unione delle due anime va conservata nel Tao, perché è la condizione della formazione del corpo etereo, immortale, immanente al corpo mortale. La disunione delle due anime fa fallire la formazione del corpo etereo.
Il corpo (hing) è il luogo che ha in sé stesso la personalità (shen). Lo
shen si dissolve col dissolversi del corpo mortale, ma se si è formato quello etereo, immortale, prodotto dall’anima aerea rimasta unita a quella spermatica, lo
shen, dopo la morte, rimane unito al corpo eterico, immortale. Giungere al corpo immortale, eterico, è l’obiettivo del Taoista. In (Lieh Tzu, libro II) si fa chiaro riferimento al corpo etereo nel quale rimane lo shen, ovvero l’ego: “L’atmosfera non sosterrà mai una particella del tuo corpo, e anche la terra non sarà uguale al peso di uno dei tuoi arti”.
Se le due anime non sono rimaste unite nel Tao, c’è la dissoluzione completa. Il Taoismo religioso afferma l’esistenza dei demoni (gui), intesi come la deformazione di una persona molto malvagia. Il processo della deformazione è oscuro, ma è un’affermazione della libertà dell’uomo. Il processo potrebbe intendersi avvenuto dopo il conseguimento del corpo etereo, che si deformerebbe in un corpo malvagio con lo
shen malvagio. La sorte del gui
è di rimanere legato alla Terra e non di andare nel Cielo degli immortali.
L’immortale che raggiunge il Cielo (xian 仙人), ha lo
shen non coinvolto nel divenire perenne delle cose. (Chuang Tzu, libro V, cap. XIV): “Non ha coda alla fine né capo all’inizio, ora è morte ora è vita, ora è caduta ora è ascesa, le quali non hanno limite nella loro perpetuità”.
Essa è il superamento della situazione “ora è morte ora è vita”, poiché la morte è esclusa. L’immortalità non può più essere neppure “ora è caduta ora è ascesa”, poiché è ascesa per gli immortali giusti, discesa per i
gui.
Fin tanto che si rimane nella vita mortale (Liezi, libro I) si è dentro il flusso delle produzioni e delle trasformazioni cosmiche: “Quelli che lo accompagnavano videro un teschio vecchio di cent’anni, raccolsero un ramo e glielo indicarono. Rivoltosi al discepolo Baifeng, il Maestro disse:
‹Soltanto io e lui sappiamo che non siamo mai nati e che non siamo mai morti. Lo stato in cui si trova lui, vogliamo considerarlo misero? Lo stato in cui ci troviamo noi, vogliamo considerarlo felice? All’interno dei semi c’è l’impulso alla trasformazione›”.
La nascita è il passaggio dall’indeterminato al determinato e la morte è il passaggio dal determinato all’indeterminato. Le trasformazioni trovano il loro impulso dentro il seme. Il seme produce la pianta che muore, la pianta produce il seme per una nuova pianta. Il Taoismo non considera il corpo come una prigione punitiva alla stregua della reincarnazione dell’induismo e del buddhismo, come qui si accenna “Soltanto io e lui sappiamo che non siamo mai nati e che non siamo mai morti”.
Questo andare oltre il binomio nascita-morte è insito nell’uomo e per questo il Taoismo ricerca il conseguimento dell’immortalità.
L’inazione razionale e la conoscenza mistica
Un passo (Chuang Tzu, libro VII, cap. XXII) afferma che solo l’esperienza mistica, costituita dall’insorgere delle sensazioni subliminali e inconsce, fa conoscere il Tao. ”Questo è il Tao! Allora per comprenderlo perfettamente non ci vuol sapienza, per discernerlo non ci vuol intelligenza: il santo ne fa a meno”.
(TaoTC, cap. V): “Parlar
molto e scrutare razionalmente vale meno
che mantenersi vuoto”.
L'inazione razionale e la conoscenza mistica sono
di obbligo di fronte al “mistero
del mistero”
e alla “porta
di tutti gli arcani”
(TaoTC, cap.I).
(6)
Lo spirito della valle
(TaoTC, cap. XX): “Lo spirito della valle non muore, è la misteriosa femmina. La porta della misteriosa femmina è la scaturigine del Cielo e della Terra. Perennemente ininterrotto come se esistesse viene usato ma non si stanca”.
“Lo spirito della valle” è la modalità con la quale il Tao agisce con lo
Yin-Yang, è un agire non agendo, poiché non si ha azione che tocchi l’ordine delle realtà fatte emergere dal Caos. “Lo spirito della valle non muore”,
esso è perenne e si attua come “misteriosa
femmina”,
dal cui grembo viene il Cielo e la
Terra, dai quali, poi, le “diecimila creature”.
La “madre che nutre” (TaoTC, cap. XX) ciò che ha generato, cioè il Cielo-Terra e le diecimila creature, è il Tao. Nutre attraverso il Qì immanente nelle cose e operante con la bipolarità
Yin-Yang. Il Tao non muta l’impianto armonico del cosmo, ma lo nutre. Il Tao procede con l’agire il non agire. Agisce, ma non sconvolge. Agisce, ma mantiene. Agisce, ma segue ciò che ha stabilito. “Lo spirito della valle” è una modalità perenne che non si stanca, poiché non ha in sé sforzo.
Colui che pratica il Tao, pratica “lo spirito della valle”, facendosi accoglienza, cioè sintonizzandosi con l’armonia del cosmo e operando in modo da non farne violenza, cioè
agendo senza agire. Facendo ciò egli non fa ostacolo al
Qi che deve crescere di potenza in lui. Essendo maschio e ben consapevole di esserlo si fa accoglienza come femmina (TaoTC, cap. XXVIII: “Chi sa di essere maschio e si mantiene femmina è la forra del mondo, essendo la forra del mondo la virtù mai non si separa da lui ed ei ritorna ad essere un pargolo”. “La forra” è una cavità profonda a pareti verticali. Il santo è “la forra del mondo” perché la virtù, cioè “la virtù del vuoto” (TaoTC, cap. XXI) non trova modo di uscire da lui, se resta “forra”. E’ la “forra del mondo”, in contrapposto a chi non lo è perché non riceve il Qì per la sua vita disarmonica con il cosmo. (TaoTC, cap. LXI): “La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa”. (TaoTC, cap. X): “All’aprirsi e al chiudersi della porta del cielo sei capace di essere femmina?”. La porta del cielo si apre e si chiude con l’alternarsi del nuvoloso e del sereno, della pioggia o della siccità, del freddo o del caldo, seguendo il succedersi delle stagioni (TaoTC, cap. VIII): “Nel muoversi s'adatta alle stagioni”. (L’interpretazione che vuole vedervi l’inspirare e l’espirare è estranea al TaoTC, che non prescrive le tecniche yogiche).
Nel (Liezi, libro I) è riportato il medesimo passo sullo spirito della valle:
"Nel libro dell'Imperatore Giallo
(Gongsun Xuanyuan …- 2598 a.C. ?)
è scritto: ‹Lo spirito della valle non muore; potrebbe essere chiamato il Misterioso Femminile. Il punto di emissione del Misterioso femminile deve essere considerato come la Radice dell'Universo. Sussistente a tutta l’eternità, egli usa la sua forza senza sforzo›". “Egli
usa la sua forza senza sforzo”;
ciò è l’agire senza agire del Tao.
Agire
il non agire
Gli uomini devono attenersi
all’agire del Tao, che è il wei wu wei
(為無為), “agire il non agire”. Il pensiero
è che l’uomo è parte del cosmo e deve
muoversi secondo il fluire delle
naturalità, che come tali sono armoniche
con il cosmo. Il non fare questo crea
una disarmonia cosmica sfavorevole
all’uomo. (TaoTC, cap. XXXII): “Le
diecimila creature da se stesse si
sottometterebbero, il Cielo in mutuo
accordo con la Terra farebbe discendere
soave rugiada”.
Questo pensiero dell’armonia che,
violentata, si ribella all’uomo, pone il
problema che l’uomo violentando
l’armonia che fa capo al Tao,
condiziona, domina, il Tao, che così
appare personale e non impersonale. Non
dovrebbe esserci dominio sul Tao, ma ciò
è una contraddizione del panteismo. Se
l’uomo violenta l’armonia cosmica
dovrebbe essere solo l’uomo a farne le
spese, mentre le spese le fa anche il
Tao, e ciò è contradditorio con la sua
sovranità di azione. Vero è che
quando l’uomo violenta le forze della
natura le forze della natura si
ribellano all’uomo, ma nella creazione
ex nihilo da parte di Dio, non
accade mai che la violenza alle cose o
al retto vivere umano diventi violenza
all’essere di Dio, restando solo le
calamità che ricadono sull’uomo.
L’infelicità dell’uomo per il Taoismo
sta nell’essersi allontanato dall’ordine
cosmico, e dunque deve cercare di
ritornare a integrarsi nel suo ambito
sociale all’armonia cosmica,
autoeducandosi a un ritorno alle fonti
originarie dell’esistere. La via del
Tao è proprio l’agire il non
agire, un’espressione taoista che
va capita. Il Tao infatti, come già
detto, agisce con lo Yin-Yang,
ma senza sforzo di mutare l’ordine
cosmico da lui stabilito; in questo sta
l’agire il non agire.
(TaoTC, cap. II e III): “Il
santo permane nel mestiere del non agire”;
“Colui
che sa non osi agire”;
“Egli
pratica il non agire”;
ecc.
Agire il non agire nel governo dei
popoli
(TaoTC,
cap. III): “Il
governo del santo svuota il cuore al
popolo e ne riempie il ventre, ne
infiacchisce il volere e ne rafforza le
ossa, sempre fa sì che non abbia scienza
né brama e che colui che sa non osi
agire. Poiché egli pratica il non agire
nulla v'è che non sia governato”.
Così il governo dei popoli deve
essere improntato a rettificare il
popolo svuotandone il cuore dal voler
agire, e così si dà abbondanza al popolo
“ne
riempie il ventre”.
Deve infiacchirne il volere dell’agire e
così “ne
rafforza le ossa”.,
ecc. (TaoTC, cap. XLVI): “Quando
nel mondo vige il Tao i cavalli veloci
sono mandati a concimare i campi, quando
nel mondo non vige il Tao i cavalli da
battaglia vivono ai confini”.
I cavalli veloci non servono più per le
azioni veloci degli uomini e possono
semplicemente “concimare
i campi”.
Quelli da battaglia possono vivere
tranquilli “ai
confini”
dei regni, che non sono più da
difendere. (TaoTC, cap. XLIII): “Ciò
che v'è di più molle al mondo assoggetta
ciò che v'è di più duro al mondo, quel
che non ha esistenza penetra là dove non
sono interstizi. Da questo so che v'è
profitto nel non agire. All'insegnamento
non detto, al profitto del non agire,
pochi di quelli che sono sotto il cielo
arrivano”.
L’insegnamento non detto è scritto
nella realtà cosmica. (TaoTC, cap.
XLVIII): “Chi
si dedica allo studio ogni dì aggiunge,
chi pratica il Tao ogni dì toglie,
toglie ed ancor toglie fino ad arrivare
al non agire: quando non agisce nulla
v'è che non sia fatto. Quei che regge il
mondo sempre lo faccia senza imprendere,
se poi imprende non è atto a reggere il
mondo”.
Il togliere e togliere è il
liberarsi da una cultura dell’agire che
si è affermata nel tempo e che è la
causa dei mali. Solo chi agisce “senza
imprendere”
è adatto a reggere il mondo, perché
segue le naturalità della vita
sociale senza alterarla con sete di
dominio e possesso. (Chuang Tzu,
libro VII, cap. XXII): “Chi
pratica il Tao ogni dì toglie, toglie e
ancor più toglie, fino ad arrivare al
non agire: Quando non agisce più non c’è
più nulla che non sia fatto. Or, se chi
governa le creature vuol tornare alla
radice, non lo troverà difficile? Solo
all’uomo grande è facile”.
Come si vede il Taoismo ha un’indole
pacifista, quasi anarchica.
Il modello del pargolo
Il modello
proposto per ritornare all’origine è
quello di un pargolo, tracciato secondo
l’ideologia taoista, e non secondo la
sua antropologica realtà. (TaoTC,
cap. LV): “Quei
che racchiude in sé la pienezza della
virtù è paragonabile ad un pargolo (…).
Deboli ha l'ossa e molli i muscoli eppur
la sua stretta è salda, ancor non sa
dell'unione dei sessi eppur tutto si
aderge: è la perfezione dell'essenza,
tutto il giorno vagisce eppur non
diviene fioco: è la perfezione
dell'armonia”.
Per il Taoismo l’atto sessuale è un’espressione dello
Yin-Yang e perciò, se contenuto e non frequente, che sarebbe causa di dispersione del
Qi, ha annesso un potenziamento del
Qi. Tuttavia un pargolo “che non sa dell’unione dei sessi” è in una condizione più alta poiché conserva integra la sua virtù seminale.
“Eppur tutto si aderge” poiché possiede grande vitalità, in specifico di crescita, senza conoscere l’apporto vitale sessuale. Tutto questo è palesemente una lettura forzata della realtà di un pargolo, che semplicemente non ha ancora raggiunto la maturità seminale. Ciò è la “perfezione
dell’essenza”.
Il santo avrà così come ideale la
continenza, come conservazione
dell’energia Qì. La stretta
possessiva che il pargolo ha degli
oggetti (cucchiaino, pupazzetto,
scodellina) è del tutto proporzionale
alla sua costituzione fisica, ma Lao Tse
vuol dire che la non azione “deboli
ossa e molli muscoli”,
produce una forte azione. La gola è come
se non agisse poiché il vagito non
diventa fioco pur emesso tutto il
giorno. Per Lao Tse l’incapacità (il
non agire) si traduce in capacità
(l’agire). Anche (Chuang Tzu, libro
VIII, cap. XXIII) pone il modello del
pargolo: “Il
pargolo tutto il giorno vagisce eppure
la sua gola non diventa fioca: è la
perfezione dell’armonia; tutto il giorno
stringe i pugni senza che la sua mano
nulla tenga: concentra la sua forza;
tutto il giorno guarda senza che i suoi
occhi si offuschino: le sue preferenze
non stanno all’esterno. Cammina senza
sapere dove va, ristà senza sapere ciò
che fa, si piega alle cose e si accomuna
al loro venire a ondate. Questo è il
metodo per salvaguardare la vita. (…).
Ti ho chiesto di proposito se sei capace
di essere un pargolo. Quando un pargolo
si muove non sa quel che fa, quando
cammina non sa dove va. La sua persona è
come un ramo secco e il suo cuore come
cenere spenta. A chi è così non arriva
sventura né viene ventura. Se non ha
sventura né sventura, come avrebbe le
calamità degli uomini?”.
Il dettaglio “cuore
come cenere spenta”,
è importante perché il testo fa derivare
la ribellione al fluire Yin-Yang
delle cose dal cuore visto come luogo
delle passioni (Chuang Tzu, libro VIII,
cap. XXIII): “Nessun
tiranno è più grande dello Yin e lo
Yang: tra Cielo e Terra nulla sfugge ad
essi. Però non sono lo Yin e lo Yang che
recano danno, ma ve li induce il cuore”.
Sulla scorta di questo ne segue che
bisogna vincere le reattività dell’io
fin nella loro radice che è il cuore
(Chuang Tzu, libro II, cap. V): “Ciò
che intendo per non avere passioni è che
l’uomo non nuoccia internamente alla sua
persona con l’amore e l’odio e segua la
spontaneità senza voler prolungare la
vita”.
“Senza
voler prolungare la vita”
poiché volerla prolungare è una
passione, se non ci sarà questa, la si
prolungherà. Come si vede non si
argina l’odio per far trionfare l’amore,
ma si combattono entrambi per
uno stato di quiete che segua i dettati
del fluire della naturalità sociale, che
non è in contrapposizione al fluire
cosmico. Il disegno che l’uomo deve
sentire su di sé è la pratica della
naturalità senza concepire un oltre a
questo. Le passioni che intercetta nel
suo cuore le deve abolire facendo
diventare cenere spenta il suo cuore.
Ma la cenere spenta non può
essere talmente spenta che vengono
inibiti anche i dati autenticamente
umani come gli affetti che sgorgano
spontanei dal cuore umano, eppure deve
essere spenta come vuoto dell’io, a cui
si accompagna però un recupero
dei dati umani come condizione per
vivere la naturalità sociale
sintonizzata sulla realtà cosmica.
In tal modo il dominio sulle cose, la
costituzione di ordini sociali sempre
più rivolti al bene comune anche
materiale, vengono inibiti. Confucio
invece riconosce come primari i dati
umani. Qui risulta una forte
contraddizione, sottile, di portata
centrale, ed è questa: Un pargolo ama e
non odia, vuole crescere, vuole
imparare, esplora l’ambiente intorno a
sé, esamina le cose, rigetta il dolore,
è sensibile all’amore, alle premure, si
appassiona a piccoli giochi, e dunque
non è quello ideologicamente descritto
da Lao Tse e da Chuang Tzu. Il pargolo
ama, soffre, desidera, anzi il suo primo
strillo è di affermazione di sé, vorrei
dire di istintiva ribellione. Tra i due
e i quattro anni, ha già moti di gelosia
per l’arrivo di una nuova culla. Il
cuore di un pargolo non è affatto un
cuore di cenere spenta. L’agire
secondo il flusso della naturalità
cosmica tentando di annullare
l’incidenza delle passioni, non può
prendere un pargolo a modello. Così il
pensiero che gli uomini dell’antichità
siano rappresentati dal pargolo, perché
non contaminato, non è
antropologicamente corretto. Va pur
detto che la contaminazione che si può
riscontrare nel pargolo, non è da lui
personalmente determinata, poiché il
pargolo è innocente, ma dalla realtà del
peccato originale, ben presentato nella
Bibbia. Per i tre mistici filosofi il
peccato originale, lo voglio chiamare
così, è solo il peccato culturale
storicamente accumulatosi. Il
modello di pargolo di Lao Tse e Chuang
Tzu è inventato. Gesù prende anche lui
dei pargoli e li pone come modelli (Mt
18,3), ma sono pargoli veri, che amano
di amore carico di affetto, di fiducia.
L’ineluttabilità
Il Taoismo non misconosce affatto l’agire buono, misericordioso, ma tale agire deve tenere conto dell’ineluttabilità. L’ineluttabilità si ha quando una realtà non può essere rimossa, e non lascia scampo a chi l’affronta, per cui è necessario agire adattandosi alla presenza dell’ineluttabile, senza arrestare il proprio cammino. Si legge (Chuang Tzu. libro VIII, cap. XXIII): “L’ineluttabilità è la via del santo. (,,,) Agire per cause ineluttabili è virtù, agire senza esorbitare da sé è buon ordine: apparentemente sono azioni antitetiche, ma sostanzialmente sono concordanti”. “L’ineluttabilità è la via del santo”, queste parole rimandano al paradigma dell’acqua come regola di comportamento: (TaoTC, cap. VIII: “Il sommo bene è come l'acqua: l'acqua ben giova alle creature e non contende, resta nel posto che gli uomini disdegnano. Per questo è quasi simile al Tao. Nel ristare si adatta al terreno, nel volere s'adatta all'abisso”).
Chuang Tzu avverte però che per vivere non basta adattarsi all’ineluttabile, ma occorre adoperarsi per il conseguimento di finalità, un ”agire senza esorbitare da sé”. Allora al non agire per
ineluttabilità bisogna aggiungere l’agire possibile, compatibile con un non “esorbitare da sé”, che sarebbe porsi in posizione di dominio e di lotta. L’ineluttabile impone una passività, un
non agire; il possibile, invece, si inoltra nell’agire, con l’avvertimento di non mai eccedere, e quindi di agire con discrezione, non scontrandosi così con l’ineluttabile, e non uscendo - neppure - dall’alveo della naturalità delle cose e situazioni.
Certamente, a volte, pur avendo, e mantenendo, forti e possibili ideali di impegno, si può fare, nell’ambito momentaneo delle situazioni logistiche, solo “quello che si può fare”, ma il Taoismo presenta la linea “di quello che si può fare” come sistema base, costante, che coinvolge tutta la persona. Tutto si focalizza in un quadro pacifista e rinunciatario, rivolto a un disegno di quiete, di lunga vita, e di conseguimento di una immortalità
autogeneratasi. Biblicamente parlando si ha un rinunciare alla carne per la carne. Non è vero che sia
cuore tranquillo il cuore che si pone al disopra
dell’amare e del non amare, come viene detto degli uomini dell’antichità (Chuang Tzu, libro III, cap VI): “Perciò erano gli stessi sia nell’amare sia nel non amare”, poiché quella
tranquillitas non è tale, perché rinuncia di sacrificarsi per un cambiamento in meglio di fronte all’arroganza dei potenti. Tale posizione interiore è omologabile
all’atarassia (tranquillità) del pensiero stoico greco. L’atarassia
stoica produceva sì un amore, ma un amore fatto di fuoco freddo. L’atarassia conosce l’odio, ma mai odio scomposto. Gli uomini risolti, come quelli antichi, sono “gli stessi sia nell’amare sia nel non
amare”.
In (Liezi, libro 7) c’è questa affermazione: ”La norma di condotta sta nel proprio sé, la sua prova sta negli altri uomini: siamo spinti ad amare quelli che ci amano e ad odiare quelli che ci odiano. T'ang e Wu hanno amato l'Impero, e quindi ciascuno è diventato Re. Chieh e Chou hanno odiato l'Impero, e quindi sono morti”.
Ognuno pensa di essere amabile per qualche verso, cosicché se non è amato reagisce col non amare; questo è proprio dell’uomo. La norma di condotta è l’amore alla quale l’uomo è sospinto dal
proprio sé, ma l’amore dato è condizionato dall’amore ricevuto, in quanto uno pensa di averne diritto in quanto amabile. L’amore ricevuto è
la prova che dà il via decisivo all’amore: si ama solo se si è amati (Cf. Mt 5,46-47). L’odio non è
norma di condotta, ma l’uomo vi è sospinto, e non può odiare se prima non ha ricevuto la
prova di essere odiato; ma qui la
prova è facile inventarsela.
“T'ang e Wu hanno amato l'Impero, e quindi ciascuno è diventato Re”, infatti i due hanno amato la gente e la gente ha amato loro. Al contrario di “Chieh e Chou” che odiati dalla gente sono stati uccisi.
La norma è l’amare, ma esiste anche il contrario l’odiare: un’affermazione della norma e una negazione della norma. (Chuang Tzu, libro I, cap, II): “L’uomo santo armonizza l’affermazione e la negazione, riposando nello stampo del cielo”. Lo “stampo del cielo” è il Tao, che opera senza sforzo, cioè agisce con
il non agire.
Il wei wu wei non è però un mero agire passivo, ma è carico di intenzionalità, di scelta di agire, ma non opponendosi alla naturalità, intesa come alveo naturale dove porre l’agire. Fuori da quell’alveo c’è il disordine. Il punto è tutto nello stabilire l’alveo, il che equivale a dire chi è l’uomo, e che senso ha la sua libertà.
Il comportamento taoista non è segnato dalla sfida al pericolo, ma non è neppure segnato dal non agire mosso dalla paura, è invece quello di agire secondo la natura delle circostanze, cercando il modo di trarle a proprio vantaggio. E’ il
wei wu wei (為無為,
agire il non agire).
Il Taoista non ha posizioni intransigenti, assolute, ma si adatta come acqua nell’alveo degli avvenimenti, anche in quelli umili, salvo sottrarsi decisamente, senza combattere per mutare le cose. L’immagine dell’acqua che si adatta alle situazioni è molto felice (TaoTC, cap. VIII): “Il sommo bene è come l'acqua: l'acqua ben giova alle creature e non contende, resta nel posto che gli uomini disdegnano. Per questo è quasi simile al Tao. Nel ristare si adatta al terreno, nel volere s'adatta all'abisso, nel donare s'adatta alla carità, nel dire s'adatta alla sincerità, nel correggere s'adatta all'ordine, nel servire s'adatta alla capacità, nel muoversi s'adatta alle stagioni. Proprio perché non contende non viene trovata in colpa”. “Per questo è quasi simile al Tao”, infatti solo “quasi simile” perché il Tao con l’azione Yin-Yang si adatta al costituito, ma il costituito lo ha fissato lui. “Si adatta all’abisso” cioè non si innalza, ma è pronto ad abbassarsi. “Nel donare si adatta alla carità”, ma la carità come una modalità relazionale, non un assoluto come dice la Bibbia (1Gv 4,16). “Nel dire si adatta alla sincerità”, perché nella menzogna non c’è convenienza, a breve o lungo termine. “Nel servire s’adatta alla capacità”, perché non vuole comparire maggiore di ciò che è per non essere troppo caricato di servizio. “Nel correggere si adatta all’ordine”, poiché agirebbe oltre ciò che è consentito e utile.
Se la naturalità è vivere tutelando la carne, evitandole
una breve vita, il soffrire, la malattia, ciò è ben poco per l’uomo. Se il vivere i rapporti interpersonali sta nell’opportunità, ciò è ben poco per l’uomo. Se non avesse disegni d’amore da portare avanti anche di fronte all’odio, ciò sarebbe ben poco per l’uomo. E in fondo anche un Taoista, poiché è un uomo, non ci sta a vivere a livello di
naturalità, anzi la vuole trascendere quando rivela il suo desiderio di
immortalità.
Per il cristiano vivere nella naturalità è mutilare le esigenze più profonde del suo essere. Il cristiano non fugge l’urto del mondo, resta di fronte al dolore. Egli opera, agisce, combatte nella carità e nella verità, con la preghiera, nel contesto sociale anche difficile, per la difesa e l’elevazione dei deboli, degli oppressi. Cristo ha fatto questo, è il maestro di questo.
La “somma carità” contrapposta a Confucio
(Chuang Tzu, libro V, cap. XIV); “Padre e figlio hanno affetto l’uno per l’altro. Come considerarli privi di carità? - Chiedo licenza di interrogare sulla somma carità -. La somma carità non ha affetti. - Ho inteso dire obiettò un primo ministro che chi non ha affetti non ama e chi non ama non è filiale. - Non è così - replicò Chuang tzu - La carità somma è di livello elevato e non certamente basta la pietà filiale per esprimerla. Ciò non significa che non ha attinenza con la pietà filiale (,,,)
‹Per quanto riguarda il rispetto la pietà filiale è facile, è difficile per quanto riguarda l’amore; per quanto riguarda l’amore la pietà filiale è facile, è difficile far sì che i genitori dimentichino noi; far si che i genitori dimentichino noi è facile; è difficile dimenticare pienamente il mondo; dimenticare completamente il mondo è facile, difficile è far sì che il mondo dimentichi completamente noi›. La virtù lascia da parte Yao e Shun senza curarsene, dispensa benefici a diecimila generazioni senza che alcuno nel mondo lo sappia. Perché tirare un gran respiro per parlare di carità e pietà filiale? La sottomissione del fratello minore, la carità, la giustizia, la lealtà, la rettitudine, la purezza, sono incoraggiate affinché servano alla virtù, non meritano di essere esaltate. Perciò ho detto:
‹Per chi ha la somma nobiltà gli alti ranghi del regno sono ciarpame, per chi ha la somma ricchezza i beni del regno sono ciarpame, per chi ha la somma aspirazione la fama e la lode sono ciarpame›. E’ per questo che il Tao è immutabile”.
Il testo riporta uno scontro tra la posizione Taoista e quella Confuciana di un primo ministro dello Stato cinese.
A favore di Confucio va detto che
una carità che si ponga sopra o di lato
alle relazioni interpersonali non
esiste, perché non ha modo di esistere,
vivendo nella e della interpersonalità.
Vero è che gli affetti sono spesso
mutevoli, ma ciò non giustifica che la
cosiddetta “somma
carità”
non debba avere affetti. E’ vero che i
genitori, in quanto genitori, non
dimenticano facilmente i loro figli,
sarebbero solo genitori snaturati. E’
vero che per i figli è facile con
l’ingratitudine, l’egoismo, far sì che i
genitori li dimentichino. Vero che il
rispetto ai genitori è facile quando è
formale, ed è difficile quando è amore
che richiede l’accettazione dei disagi.
Ma la “somma
carità”
è avvolta dal muro dell’imperturbabilità
che diserta il patire. Una “somma
carità”,
che ama di benevolenza universale,
ponendosi nello stesso tempo oltre
tutti, non è quella che gioisce con
chi gioisce, e che soffre con chi soffre
(Rm 12.15). La vera carità non “lascia
da parte Yao e Shun senza curarsene”.
Certo, la “somma
carità”
vuole dispensare “benefici
a diecimila generazioni senza che alcuno
nel mondo lo sappia”.
La benevolenza universale o compassione
universale, dà benefici agli indigenti,
e in questo gesto di servizio si ravvisa
umiltà, come è umiltà il non cercare
fama e lode, ma ciò non può significare
mai un ritirarsi, un non esporsi di
fronte all’ingiustizia, perché in tal
modo non si ha vera umiltà, vero
servizio. Tale umiltà è solo un
concedersi, che non è umiltà né
carità secondo quanto insegna Cristo,
che non si è concesso, ma si è
dato, abbracciando la
condizione umana, fino ad essere fedele
anche di fronte alla morte e alla morte
di croce. “La
sottomissione del fratello minore, la
carità, la giustizia, la lealtà, la
rettitudine, la purezza, sono
incoraggiate affinché servano alla
virtù, non meritano di essere esaltate”.
Le virtù confuciane, secondo Chuang Tzu,
non vanno esaltate perché implicano la
lealtà, la giustizia, la carità, le
virtù sulle quali fa leva il potere per
legare a sé gli uomini, chiedendo
sacrifici per un ideale falso. Tali
virtù vanno però incoraggiate, dice
Chuang Tzu, perché sono pur necessarie
al vivere sociale degli uomini. Tali
virtù confuciane devono però essere
rilette e guidate dalla virtù, che è la
pratica del Tao, del seguire la
naturalità cosmica: l’agire senza
agire. Comunque il riconoscimento
di Chuang Tzu dei valori confuciani,
come modi di vita, non è di
poco conto e verrà accolto
dall’influente medico taoista Hung Lao
nel II sec. d.C., e dall’altrettanto
influente taoista Ge Hong (280-340 d.C),
ammorbidendo così di non poco la
posizione nei confronti dei governi
costituiti. C’è del disprezzo nelle
parole di Chuang Tzu circa “gli
alti ranghi del regno”.
Sarà da deplorare il comportamento di
tanti, ma non bisogna dimenticare che
l’umanità è una società ordinata e non
anarchica. La “somma
nobiltà”
non sta nel disprezzare i ruoli umani
come “ciarpame”
(salvo una traduzione più morbida, ma
che non cambierebbe la sostanza), ma sta
nel viverli nella lealtà pronta al
sacrificio, nella luce di ideali di
verità e di carità. I ruoli umani
interessavano anche ai Taoisti - non se
ne può fare a meno -, ma li pensavano
solo all’interno di gruppi perfetti
(TaoTC, cap. LXVII): “Perciò
posso esser capo degli strumenti
perfetti”.
La Bibbia non conosce l’amore senza
coinvolgimento, e perciò freddo. Non
conosce un amore che di fronte al
disagio dell’odio si ritiri in una sfera
di imperturbabilità. (Ct 8,6): “Forte
come la morte è l’amore, tenace come il
regno dei morti è la passione: le sue
vampe sono vampe di fuoco, una fiamma
divina! Le grandi acque non possono
spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo”.
L’amore è fuoco che regge di fronte
all’odio, perché rimane amore, sempre;
amore che si coinvolge e che perciò è
passione, nel senso più nobile della
parola. (Gv 15,13): “Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare
la vita per i propri amici”,
e Gesù non ha chiamato nessuno suo
nemico, pur avendo tanti nemici, e ha
amato sino alla fine, dando la sua vita,
e Gesù amava la vita. Dove dunque la
pace del cuore per chi ama, per chi non
pone un vuoto, una distanza, con
l’amore? Proprio dall’amare con amore,
che sa donarsi, viene la pace che è
sintonia con le voci più profonde
dell’essere umano, fatto a immagine e
somiglianza con Dio, che è Amore (1Gv
4,8). La carità portata da Cristo
non nega gli affetti, non li mette a
lato, ma li purifica e li eleva a novità
di vita.
(7)
Le tre cose preziose
(TaoTC, cap. LXVII): “Io ho tre cose preziose che mi tengo ben strette e custodisco: la prima è la misericordia, la seconda è la parsimonia, la terza è il non ardire d'esser primo nel mondo. Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido, sono parsimonioso e perciò posso essere generoso. Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia, si è generosi trascurando la parsimonia, si è primi trascurando di posporsi. È la morte! Chi è misericordioso nel guerreggiare è vittorioso, nel difendere è saldo”.
Questo passo presenta il nucleo del comportamento presentato da Lao Tse.
“Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido”. L’essere misericordioso, parte da una benevolenza universale,
panorarmica, scissa dalla concretezza, capace di
scendere a concretezza nel movente di non subire reazioni ostili, ma creando consensi, per un ritorno di utilità a sé. Con l’utile della sicurezza si può essere intrepidi nelle situazioni difficili, senza correre rischio.
La misericordia verso il vinto è poi moderazione, e il proposito di moderazione fa sperare che il vinto accetti di essere stato vinto, vedendo in questo addirittura un utile.
“Sono parsimonioso e perciò posso essere generoso”. C’è una positiva nota caritativa in questo sottrarsi qualcosa aprendosi alla generosità (TaoTC, cap. LXXVII): “Chi è capace di donare al mondo ciò che ha in eccedenza? Solo colui che pratica il Tao”. L’opposto (TaoTC, cap. LXXVII): “Non è così la via dell'uomo: ei diminuisce a chi non ha a sufficienza per donare a chi ha in eccedenza”.
L’essere parsimonioso è un astenersi dall’accumulare. Tale agire parsimonioso dà la possibilità della generosità; ma l’altruismo, che è un non agire per sé, porta con sé un’aspettativa di ringraziamento, di gratitudine, così il non agire per sé diventa un agire per sé. Il premio dell’azione buona diventa poi il movente per un’altra azione buona. Tutto il processo è compromesso di fronte all’ingratitudine del bisognoso, che pur rimane bisognoso; per superare questo bisogna avere una morale nuova alla Terra: quella di Cristo.
“Non ardisco d'esser primo nel mondo e perciò posso esser capo degli strumenti perfetti”. Il volere farsi strada - ardire - per emergere quale “primo nel mondo” causa sforzo, voglia di potere, ambizione, che fa fallire il compito di essere “capo degli strumenti perfetti”, cioè di uomini saggi, poiché non si sarà accettati da essi, che non vogliono chi coltivi la sete di potere.
“Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia”. E’ il quadro della situazione contemporanea di Lao Tse. Si è intrepidi, ma nel senso di violenti, imperiosi, crudeli, efferati, per conquistare il potere.
“Si è generosi trascurando la parsimonia”. E’ la ricerca di consensi con promesse vuote, senza compimento, poiché mancando la parsimonia non si può dare quanto si promette. E’ quello che fanno i sovrani per illudere i popoli.
“Si è primi trascurando di posporsi. E’ la morte!”. Cercare il successo, voler essere i primi, anche con la violenza, fa giungere alla morte. (TaoTC, cap. LXII): “Quelli che fan violenza non muoiono di morte naturale”.
“Chi è misericordioso nel guerreggiare è vittorioso”. L’essere spietati, terroristi, comporta prima o poi la ribellione, la rovina. Chi invece combatte senza infierire è vittorioso, perché l’avversario gli si sottomette, senza sentirsi schiacciato, anzi rispettato nella sua dignità.
“Chi è misericordioso (…), nel difendere è saldo”. Il misericordioso, cerca gli accordi, è capace di concedere, e perciò non dà motivi per essere ribaltato dalla sua posizione. Non seguire l’impeto di chi vuol dominare per garantirsi la propria sicurezza è la garanzia della propria sicurezza. L’obiettivo di questo agire è quello di una lunga vita, ottenuta piegandosi di fronte all’ineluttabile e agendo nell’ambito del
possibile.
(TaoTC, cap. LXXXI): “Il vero saggio per sé non provvede: se si spende negli altri, per sé acquista; e, più dona, più ottiene per se stesso. La Via del cielo aiuta, non fa danni; la Via del saggio agisce senza lotta”. Tutto ciò è saggezza e prudenza, ma il suo orientamento è ispirato ad ottenere imperturbabilità personale, e creare negli altri dei debiti morali dei quali avvantaggiarsi. La distruzione taoista dell’ego finisce per essere l’affermazione di un super ego. Il non agire si traduce in un vantaggioso agire nel dedalo delle circostanze.
Il timore della morte
Tao Tse non misconosce il timore della morte. (TaoTC, cap. LXXV): “Il popolo dà poca importanza alla morte perché chi sta sopra cerca l'intensità della vita: ecco perché dà poca importanza alla morte”. L’esempio dei potenti, che non considerano, la morte contagia i popoli. La morte è un dato naturale e Lao Tse vuole che la si guardi senza drammi, tuttavia il timore per la morte è importante (TaoTC, cap. LXXX: “Tema la morte”), perché preserva dall’esporsi a pericoli. Il timore della morte non si trova però solo sul piano della conservazione del corpo, ma anche sul piano del proprio esistere oltre la morte. Il timore della morte diventa così una spinta per cercare di conseguire l’immortalità, come l’avevano gli antichi saggi.
Persa la saggezza, cioè la pratica del Tao, subentrò il fallimento della “via dell’uomo” (TaoTC, cap. LXXVII). Con ciò è messa in evidenza la libertà. Il passaggio dalla Via dell’uomo a quella del Cielo, avviene per un atto di libertà, ma si attua per intervento del Cielo. (TaoTC, cap. LXVII: “Quei che il cielo vuol salvare”), nel senso che sul
rinnovato fanciullo agisce potentemente il
Qì, essendo il volere dell’uomo collimato con i dettati cosmici.
Lao Tse non si è interrogato da dove procede all’uomo la libertà di rifiutare (TaoTC, cap. IX) “La Via del cielo” per seguire “La Via degli uomini”. Poteva essere un interrogativo su cui applicarsi a fondo e con risultati filosofici, ma preferì rimettere tutto nella nuvola del “mistero dei misteri” e oltre la “porta di tutti gli arcani”.
Altro passo importante sulla morte in rapporto alla vita lo si trova in (Liezi, libro I): ”Se si considera il rapporto fra la morte e la vita, si vede che è come un andare e un tornare. Pertanto come faccio a sapere che quando muoio qui non nasco altrove? Come faccio a sapere che morte e nascita non si equivalgono? E ancora: come faccio a sapere che il continuo dolersi per la morte e il continuo affannarsi per la vita non sono che illusione? Come faccio a sapere che la morte che mi viene incontro oggi non è qualcosa di meglio della vita che mi è stata data allora?”. L’intento di queste parole è produrre un’equidistanza tra il pensiero della nascita e della morte affinché non ci sia turbamento per il fluire vita-morte stabilito dal Tao. Tale accettazione porta alla quiete, alla longevità e all’immortalità. Liezi presenta la reincarnazione solo come ipotesi dialettica per affermare che una rinascita nulla cambierebbe della situazione nascita-morte dell’uomo, e del resto non si potrebbe sapere l’antecedente vita di tale rinascita, così da tenerne conto. Il pensiero della reincarnazione è indubbiamente conosciuto, ma per il Taoista non ne esiste la possibilità poiché lo shen non è una realtà indipendente dal corpo. Il Taoista non ha una considerazione pessimistica del corpo come l’induista e il buddhista, ma all’opposto, considera il corpo come il luogo dove si attua la sua immortalità.
Il corpo etereo, immortale
(TaoTC, cap. L): “Uscire è vivere, entrare è morire. Seguaci della vita sono tre su dieci, seguaci della morte sono tre su dieci, gli uomini che la vita tramutano in disposizione alla morte son pur essi tre su dieci. Per qual motivo? Perché vivono l'intensità della vita. Or io ho appreso che chi ben nutre la vita va per deserti senza incontrar rinoceronti e tigri, va tra gli eserciti senza indossar corazza e arme: il rinoceronte non ha dove infilzare il corno, la tigre non ha dove affondar l'artiglio, il guerriero non ha dove immergere la spada. Per qual motivo? Perché costui non ha disposizione alla morte”.
“Uscire è vivere, entrare è morire”. Uscire dall’indeterminato è vivere, entrare nell’indeterminato è morire.
“Seguaci della vita sono tre su dieci”, sono quelli che si adoperano per perseguire l’immortalità, cioè quelli che
nutrono bene la loro vita. La formula “tre su dieci” non ha valore percentuale.
“Seguaci della morte sono tre su dieci”, sono quelli che hanno vita breve perché non cercano l’immortalità. Chi
pratica il Tao invece allunga la vita. (TaoTC, cap. XVI): “Essendo Tao a lungo dura e per tutta la vita non corre pericolo”.
“Gli uomini che la vita tramutano in disposizione alla morte son pur essi tre su dieci”. Sono coloro che pur cercando di allungare la vita, attaccati smodatamente ad essa, non hanno nessuna vita dopo la morte, poiché non hanno praticato il Tao.
“Or io ho appreso che chi ben nutre la vita”. Il ben nutrire la vita avviene con la
pratica del Tao. E’ nutrire la vita quando la nascita e la morte sono presi come fatti naturali in modo tale che non ci sia la brama di allungare la vita, la vita che viene nutrita è la formazione del corpo etereo immanente a quello di ossa e di carne.
“Va per deserti senza incontrar rinoceronti e tigri (,,,)”. La disposizione alla morte non è solo noncuranza della morte quale evento naturale ineludibile, ma anche della disposizione nella pratica del Tao, che è il sintonizzare il microcosmo del proprio sé con il macrocosmo, affinché con l’immissione del
Qi si formi un impalpabile corpo eterico immortale. Di fronte a tale corpo etereo, le belve, anche se uccidono il corpo di carne, non hanno dove “infilzare il corno”, “affondar l’artiglio”, e il guerriero dove “immergere la spada”.
(TaoTC, cap. XXXIII): “A lungo dura chi non si diparte dal suo stato, ha vita perenne quello che muore ma non perisce”.
Lo stesso si trova in (TaoTC, cap. LV): “Quei che racchiude in sé la pienezza della virtù è paragonabile ad un pargolo, che velenosi insetti e serpi non attoscano, belve feroci non artigliano, uccelli rapaci non adunghiano”. Il pargolo è preso a paragone di colui che ha la pienezza della virtù, e la pienezza della virtù è praticare il Tao.
l soggetto che “velenosi insetti e serpi…”, è così non il pargolo, ma colui che si è reso pargolo. L’uomo che ha la “pienezza della virtù” è afferrabile dalla morte solo quanto il corpo di carne, ma non è afferrabile in quello etereo, immortale.
Non si ha che un pargolo sia già immortale. Il pargolo è solo
nella condizione ottimale di partenza per diventare immortale. Così gli uomini saggi antichi erano
nella condizione di diventare immortali, praticando il Tao, ma non erano di per sé già immortali. L’immortalità è una conquista, che per l’uomo, condizionato dalla cultura del potere e dell’avere, passa attraverso il ritornare pargolo, o meglio essere come un pargolo. (Chuang tzu, libro VII, cap. XXII): “Chi pratica il Tao ogni dì toglie, toglie e ancor più toglie, fini ad arrivare al non agire; quando non agisce nulla v’è che non sia fatto”.
Altro testo che presenta il dato della formazione del corpo immortale è questo (TaoTC, cap. LXX): “Per questo il santo indossa rozze vesti e cela nel seno la giada”. All’austerità delle rozze vesti si contrappone la preziosità della giada. La giada era un pietra preziosa che si credeva proteggesse il corpo dalla decomposizione. Questo versetto indica che il santo ha in sé “cela nel seno” il principio dell’immortalità. Nella tradizione Taoista si parla che il corpo di carne e ossa viene trasformato in giada (carne) e oro (ossa).
Nel testo (Liezi, libro II), Lie Yukou, a cui è attribuita la formazione presso Lao Tse, si descrive un’uscita dal corpo con il corpo etereo: “Non c'era distinzione tra occhio e orecchio, orecchio e naso, naso e bocca: erano tutti uguali. La mia mente era congelata, il mio corpo si rarefece; le mie ossa e la mia carne si fondevano insieme. Ero del tutto inconsapevole di ciò su cui il mio corpo stava seduto o su cosa c'era sotto i miei piedi. Preso dal vento partii verso l’est, verso l’ovest, in tutte le direzioni, come paglia secca o foglie che cadono da un albero. In effetti, non sapevo se era il vento che mi sollevava, o se ero io che ero a cavalcioni del vento”.
Nel testo (Chuang Tzu, libro I, cap. I) si legge: “Lich-tzu viaggiava montando i venti con indifferente virtuosità e ritornava dopo 15 giorni”. Chiaro che quindici giorni in trance sono solo la percezione che il soggetto ha avuto nello stato medianico.
(Chuang Tzu, libro I, cap, II): “L’uomo sommo è sovrannaturale. Le grandi paludi che andassero a fuoco non potrebbero fargli sentir caldo, il Ho e il Han che gelassero non potrebbero fargli sentire freddo, un tuono improvviso che spaccasse le montagne e un vento che sconvolgesse il mare non potrebbero spaventarlo. Chi è così viaggia al di là dei quattro mari montando le nubi e l’aria, cavalcando il sole e la luna. Vita e morte non producono alcuna alterazione in lui”. Il testo è chiaro, colui che ha formato in sé il corpo etereo vive in una realtà che è aldilà della vita e della morte. La vita mortale non lo condiziona e la morte non lo sopprime.
Il corpo immortale rimane una volta che il corpo mortale non abbia più vita. Così il corpo immortale ha in sé la personalità (shen). Il corpo immortale è rapportabile al
corpo eterico o perispirito dello spiritismo (Allan Kardec), con la differenza che nello spiritismo è presentato come un dato connesso alla reincarnazione, e non come una conquista. Il
corpo immortale è una nozione che il Taoismo ha derivato con elaborazione propria a partire dalle esperienze delle uscite dal corpo dello sciamanesimo cinese, dove mancava l’ideologia della reicarnazione.
Le tecniche yogiche e alchemiche per la lunga vita e l’immortalità
(Chuang Tzu, libro VI, cap. XV): “Chi soffiando ora con forza ora con dolcezza, espira e aspira, espelle l’aria viziata e assorbe l’aria pura, si appende come un orso e si stira come fa l’uccello, cerca solo la longevità. E’ questo l’ideale di coloro che vogliono nutrire il proprio corpo stendendolo e contraendolo. (…) Chi raggiunge un’età avanzata pur senza stendere e contrarre il suo corpo, dimentica tutto e possiede tutto. E’ pacifico e immenso. Riunisce in sé tutte le perfezioni del mondo. In lui risiede la via del Cielo e della Terra, la virtù
dell'uomo santo”.
La “via del Cielo e della Terra” è la via del sintonizzarsi con l’armonia cosmica. L’uomo saggio “dimentica tutto”, cioè svuota il suo cuore dalle passioni, dagli affanni, così che “possiede tutto”, cioè lunga vita e immortalità.
Gli esercizi ginnici, le apnee prolungate, per diffondete il Qì in tutte le parti del corpo non sono apprezzati da Chuang Tzu, che non cade in contraddizione dicendo, circa gli antichi (Libro III, cap. VI): ”Il loro respiro era lungo e profondo: il respiro dell’uomo vero proviene dai talloni, quello della moltitudine degli uomini proviene dalla gola. Chi fa così sembra che abbia la gola strozzata”. Infatti, Chuang Tzu non intende far primeggiare la respirazione diaframmatica o addominale sulla respirazione toracica, ma quella calma e profonda, data dalla
tranquillitas degli antichi. Essa coinvolgeva tutto il corpo nutrendolo di Qì fino al punto più lontano: i talloni (Una traduzione possibile è: “La
loro respirazione calma e profonda
penetrava il loro organismo fino ai
talloni”; E.delleR, ed. Vallecchi, vol V, col. 1637). Al contrario la non
tranquillitas della moltitudine degli uomini è come se il
Qì si fermasse alla gola, sì da farla sembrare strozzata.
Così, chi diventa longevo e immortale è (TaoTC, cap. L) “Chi ben nutre la vita” praticando il Tao; (TaoTC, cap. XVI): “Essendo Tao a lungo dura e per tutta la vita non corre pericolo”.
L’allungamento della vita e l’immortalità erano posti come una conseguenza della imperturbabilità anche di fronte al pensiero della morte, poiché la nascita e la morte sono due eventi naturali.
Il pensiero della morte è tuttavia un pensiero impellente dell’uomo, come lo è il desiderio di una lunga vita. Facile, così, mettere in campo gli insegnamenti della medicina cinese. Così, all’inizio del (II sec. a.C.) un medico, Huang Lao, cominciò a cercare un accordo tra il Tao Te Ching e gli insegnamenti dell’arte medica di Huangdi, considerato il fondatore della medicina cinese. Huang Lao, pur taoista, cercava anche di sostenere il governo degli Zhou, dando così importanza ai valori confuciani. Nel (200 a.C.), il medico taoista Hua Tuo diede vita a un procedere salutista che includeva quello che Lao Tse e Chuang Tzu avevano messo da parte circa la respirazione,
cioè il controllo della respirazione unito all’esercizio delle posizioni del corpo: allungare gli arti e i lombi, muovere i muscoli dell’addome, cioè esercizi yogici Una svolta importante la diede Ge Hong (280 - 340 d.C,), taoista, uomo di cultura e alchimista, autore del testo chiamato “Baopuzi” (Maestro che abbraccia la semplicità). Egli affermò che sia Lao Tse, sia Chuang Tzu avevano “volato troppo in alto” circa il raggiungimento della longevità e dell’immortalità. Bisognava percorrere vie più agevoli.
In sintonia con l’apprezzamento - non entusiasta - di Chuang Tzu sul valore delle virtù confuciane, Ge Hong, le presentò fortemente importanti nella vita sociale e anche come una componente per ottenere l’immortalità. Non fu uno spostamento da poco.
Circa il conseguimento dell’immortalità, cioè della formazione di un corpo etereo, Ge Hong, propose l’uso di droghe minerali di significato alchemico. Gli elementi erano il cinabro,
risigallo, malachite,
zolfo, mica, salnitro,
orpimento. Le droghe o elisir di immortalità erano segrete e venivano presentate come rivelate da divinità. Era questa l’alchimia esterna (waidan). L’uso doveva essere sapiente perché poteva portare all’avvelenamento, come di fatto avveniva. Questi minerali furono caricati di simbolismo alchemico.
Accanto all’alchimia esterna, nel Taoismo si trova l’alchimia interna (neidan) fondata su percorsi meditativi, e esercizi yogici, includenti l’impalcatura complessa, quanto fittizia, dei
chakra, quali punti di ingresso del
Qì.
La scuola del “Shangqing”
(Suprema Purezza), sorta verso la fine del IV secolo, il cui testo principale è il “Dadong Zhenjing” (Scritto autentico del grande Dong) pose le tecniche di immortalità, prettamente fisiche, in secondo piano, ponendo invece tutta l’attenzione sui percorsi meditativi.
L’aldilà
(Chuang Tzu, libro I, cap. I): “Sul monte Miao-ku yeh (variante; Isole di Kou-che) dimorano gli uomini trascendenti, bianchi come la neve, con pelle giovane, gentili e riservati come fanciulli. Non mangiano i cinque cereali, ma aspirano il vento e bevono la rugiada. Vagano al di là dei quattro mari montando le nubi e i vapori e guidando i draghi volanti (…). Concentrando i loro poteri trascendenti fanno sì che gli uomini sfuggano a malanni e pestilenze, e che le messi maturino ogni anno (…). Tali uomini trascendenti, con i loro poteri abbracciano le diecimila creature come se nulla fosse. Quando le generazioni implorano d’essere ricondotte all’ordine, chi si assume l’incarico di occuparsi di esse? Nulla nuoce a uomini simili; la più grande inondazione che s’alzasse fino al cielo non li sommergerebbe, la più grande siccità che fondesse i metalli e ardesse il suolo e le montagne non li brucerebbe”.
Gli uomini trascendenti, immortali, agiscono con i loro poteri sulle realtà degli uomini, che li invocano nei loro bisogni. Chuang Tzu accoglie chiaramente dei dati della tradizione cinese circa gli antenati. Il Taoismo religioso ha già un chiaro precedente.
(Liezi, libro III); “All'epoca dell’imperatore Mu di Chou, c'era un mago che veniva da un regno nel lontano ovest. Poteva passare attraverso il fuoco e l'acqua, penetrare il metallo e la pietra, ribaltare le montagne e far scorrere i fiumi all'indietro, cambiare posto ai bastioni delle città, sostenersi nell’aria senza cadere, penetrare corpi solidi senza sentirne la resistenza. Non c'era fine all'innumerevole varietà di cambiamenti e trasformazioni che poteva effettuare; e, oltre a cambiare la sua forma esteriore, poteva anche allontanare le preoccupazioni interne degli uomini.
L’imperatore Mu lo riveriva come una divinità e lo serviva come un principe. Predispose per lui una suite di camere spaziose, gli regalò il cibo più delicato e selezionò un certo numero di cantanti per la sua gratificazione. Il mago, tuttavia, condannò la dimora come cattiva, la cucina come scadente e le concubine con cui vivere come troppo brutte. Così King Mu fece erigere un nuovo edificio per compiacerlo. Venne costruito interamente in mattoni e legno, e splendidamente decorato in rosso e bianco, nessuna abilità fu risparmiata nella sua costruzione. I cinque tesori reali erano vuoti quando il nuovo edificio fu completato. Era alto quasi mille metri, sovrastato dal monte Chung-nan, e si chiamava Touch-the-sky Pavilion. Poi l’imperatore provvide a riempirlo di ragazze, selezionate da Chêng e Wei, della bellezza più squisita e delicata (…). Il mago non poteva rifiutarsi di prendere la sua dimora in questo palazzo di delizie. Ma non si fermò lì molto prima di invitare l’imperatore ad accompagnarlo in una gita. Così l’imperatore strinse la manica del mago e salì sempre più in alto nel cielo, finché si fermarono. Ed ecco, avevano raggiunto il palazzo del mago. Questo palazzo era stato costruito con travi di oro e argento e incrostato di perle e giada. Torreggiava in alto sopra la regione dei nembi piovosi, senza che le fondamenta apparissero. Alla vista sembrava come la massa di una stupenda nuvola. Le cose e i suoni che offriva agli occhi e alle orecchie, i profumi e i sapori che abbondavano lì, erano tali che non esistevano nel mondo dei mortali. L’imperatore comprese che era nelle Sale del Paradiso, e che stava ascoltando la potente musica delle sfere celesti. Guardò il suo palazzo sulla terra sottostante, e gli sembrò non meglio di un rozzo mucchio di zolle in un sottobosco.
Sembrava all’imperatore come se la sua permanenza in quel luogo fosse durata per diversi decenni, durante i quali non aveva pensato al suo regno. Allora il mago lo invitò a fare un altro viaggio, e nella nuova regione in cui giunsero, né il sole né la luna potevano essere visti nei cieli in alto, né fiumi o mari in basso. Gli occhi dell’imperatore erano storditi dalla qualità della luce e perse il potere della visione; le sue orecchie erano stordite dai suoni che lo investivano, e perdeva la facoltà di udire. La struttura delle sue ossa e dei suoi organi interni fu messa fuori uso e rifiutava di funzionare. I suoi pensieri erano in un vortice, il suo intelletto si obnubilò; così pregò il mago di riportarlo indietro. Il mago gli diede una spinta, e l’imperatore provò una sensazione di caduta attraverso lo spazio.
Quando si svegliò alla coscienza, si ritrovò seduto sul suo trono proprio come prima, con gli stessi assistenti attorno a lui. Guardò il vino davanti a sé e vide che era ancora pieno di sedimenti; guardò le vivande e scoprì che non avevano ancora perso la loro freschezza. Chiese da dove venisse, e i suoi attendenti gli dissero che era rimasto seduto tranquillamente lì. Questo ha gettato King Mu in molti pensieri, e passarono tre mesi prima che fosse di nuovo se stesso.
Quindi fece ulteriori indagini e chiese al mago di spiegare cosa fosse successo. ‹Vostra Maestà ed io - rispose il mago - vagavano solo nello spirito, e, naturalmente, i nostri corpi non si muovevano affatto, quale differenza essenziale c'è tra quel palazzo-cielo in cui dimorammo e il palazzo di sua Maestà, tra gli spazi che abbiamo attraversato e il parco di sua Maestà?
Sei abituato ad essere permanentemente nel corpo e non riesci a capire di esserne stato fuori›”.
La narrazione dell’esperienza dell’imperatore Mu di Chuan (Zhuan) (976-922 a.C.) è elaborata dalla leggenda, ma ci dà una descrizione di una salita al mondo celeste.
I poteri del Mago - “Poteva passare attraverso il fuoco e l'acqua, penetrare il metallo e la pietra, ecc". - sono esagerati, ma nel Taoismo, presso alcuni, esistono fenomeni oltre le possibilità umane, come camminare sulle braci, infilzarsi con lunghi spilli, sollevarsi da terra. Poiché tali poteri non sono affatto dell’uomo, la loro causa va ricercata fuori dell’uomo, neppure in un uomo che ha ottenuto il corpo etereo, che ciò non esiste, ma nel Male, nel principe dell’Abisso, il quale con tali fenomeni vuole tenere soggiogati gli uomini. Proprio su questo versante fenomenologico il Taoismo è visto in connessione con lo sciamanesimo. Poteri stregonici, chiamiamoli pure sciamanici o medianici, Satana li ha da sempre messi in campo per depotenziare gli uomini nella ricerca del vero.
Nel viaggio, Mu di Chuan innanzi
tutto incontra un cielo, dove c’è uno
stupefacente palazzo con grandi sale
dette “sale
del Paradiso”,
piene di piacevolezze. Salendo ancora
giunge a una regione di luce, situata
oltre l’altezza del sole e della luna.
In questa regione l’Imperatore perde le
capacità sensoriali, così pure
l’intelletto diventa inefficiente.
L’imperatore era giunto a una altezza
dove luce e suoni erano così intensi da
non poterli reggere, significando ciò
una regione dove ancora non poteva
accedere per una ancora embrionale
formazione del corpo etereo. Il mago
invece reggeva perché aveva il corpo
etereo ben formato. Il testo precisa
decisamente che l’imperatore non si era
mosso dal suo trono, e che perciò tutto
era un’uscita dal corpo. L’imperatore
venne invitato a considerare quanto
piccolo era il mondo della sua reggia e
a desiderare gli splendori e le
piacevolezze celesti, e con ciò
orientare meglio la sua vita. Il
Paradiso è fatto di Palazzi celesti
stupendi, di regioni di luce, di Isole
felici, dove vivono gli immortali.
Nel Taoismo che ha subito l’influsso
buddhista è previsto l’inferno, che non
ha carattere di eternità ma di pena, e
che è connesso alla reincarnazione.
La pratica della sessualità
La pratica
della sessualità è quella assolutamente
normale: Lo Yin è femminile, lo
Yang è maschile, ne segue che
non c’è accoglienza religiosa per
l’omosessualità. Non esiste Yin Yin
e Yang Yang. Alcune scuole
hanno delle modalità yogiche per la
sessualità, considerate, però, da altre
scuole di nessun vantaggio o anche
dannose, per cui il fatto centrale sta
nella moderazione sessuale come
risparmio del Qì, e non tanto
come continenza virtuosa, sulla base del
pensiero del servizio alla vita.
L’ideale per un Taoista è la continenza.
Il mondo monastico richiede il voto di
castità espresso a una qualche divinità.
Il voto di castità non è
contemporaneo all’apparire del
monachesimo Taoista, venne introdotto
durante la dinastia Sòng (960-1279),
prima c’erano monaci sposati. Il
voto di castità ha motivazioni
diversissime da quello cristiano. Nel
Taoismo con la castità si intende la
conservazione del totale dell’energia
posseduta, del Qi. Per il
Cristianesimo il voto di castità è un
dono di Dio (Mt 19,12) per un amore
indiviso a lui, in un’apertura al
prossimo tale da dire in Cristo e con
Cristo (Liturgia eucaristica; Lc 22,19):
“Questo
è il mio corpo offerto in sacrificio per
voi”.
La vita monastica
La vita monastica Taoista è derivata da quella Buddhista, ma anche dall’ideale di piccoli centri isolati, con lavori agricoli e senza servi.
(TaoTC, cap. LXXX): “Piccoli
regni con pochi abitanti: arnesi da
lavoro in luogo d'uomini (sian dieci o
cento) il popolo non usi. Tema la morte
e fuori non emigri. Se anche vi son
navigli e vi son carri, il popolo non
tenti di salirvi; se anche vi son
corazze e vi son armi, mai e poi mai le
tiri fuori il popolo. E ritorni ad usar
nodi di corda; e trovi gusto in cibi e
vesti suoi; ed ami la sua casa, i suoi
costumi. Se stati vi vedessero vicini
tanto che cani e galli se ne udissero,
invecchino così, fino alla morte quei
due popoli: senza alcun contatto”.
La vita monastica, essendo vita
sociale, impone disciplina e
armonizzazione, quindi c’è un superiore
e un’obbedienza pratica alle regole che
va osservata, ma non si arriva a un voto
di obbedienza, sia nel Buddhismo che nel
Taoismo. Esiste il voto di povertà e
tanti altri voti di comportamento.
Presso i monaci della corrente Quanzhen
i voti sono dieci, al minimo, e possono
arrivare fino a un centinaio. C’è
tuttavia la promessa di mantenersi
fedeli ai testi sacri; l’adesione di
piena fiducia al maestro iniziatico,
che, con qualifica personale di
esperienza, introduce alla conoscenza
dei testi sacri, alla meditazione
taoista con la ricerca dell’unione con
il macrocosmo, i mantra, le formule per
soggiogare gli spiriti, e quant’altro ci
possa essere. Nella vita consacrata
cristiana il voto di obbedienza è inteso
innanzitutto come vincolo a Dio nella
conformità a Cristo povero, casto e
obbediente. Nella vita comunitaria i
voti sono fatti nelle mani di un
superiore che possiede, nello Spirito
Santo, un corrispettivo stato di grazia
per la conduzione dell’unità fraterna,
che ha per centro Cristo. Cristo, non il
superiore è il centro della vita
fraterna, il superiore è solo un servo
di questo. Il Taoismo in Italia è
coordinato dalla Chiesa Taoista d’Italia
fondata nel 1993, con sede a Caserta.
Si stima che nel mondo ci siano 400
milioni di Taoisti.
Note
1) Va avvisato, che essendo il Tao Te
Ching l’unico scritto di Lao Tse, i
detti, che esulano da tale testo, e non
sono pochi nel web, sono fake news.
2) In generale si dice che il
Taoismo procede da una rivelazione della
natura fondata sul Principio assoluto
del Tao, per cui tutto si fonda
sull’osservazione della natura, come
manifestazione del Tao nell’alternarsi
dello Yin e dello Yang.
Eppure le cose non sono così lineari,
nel così detto Taoismo religioso,
poiché si danno rivelazioni scritte su
aeroliti, su placche d’oro o di giada,
oppure su rocce, dentro caverne. La
tradizione parla anche di un’apparizione
di Lao tse, a Zhang Daoling nel 142 d.C.
A tale tradizione si appoggiò il
movimento Taoista dei Maestri celesti.
Questo movimento ebbe iniziali esisti
incerti, riprese vigore dopo il XIV sec.
d.C. col nome di “via dei cinque
sacchi di riso”, necessari per
entrare nel movimento. Le droghe di
immortalità introdotte dal taoista
alchimista Ge Hong (280-340 d.C,) si
facevano risalire alla comunicazione di
divinità. La tradizione parla anche
di apparizioni a Yang Xi (364 d.C e 370
d,C) di un gruppo di perfetti immortali
(zhenren), più alti degli
immortali comuni (xian). A
questi ultimi messaggi (rivelazioni di
Shangqing, o Purezza suprema)
fece capo il movimento Shangqing.
Il movimento dimostra un influsso del
buddhismo (reincarnazione) con l’intento
di fondere il buddhismo con il Taoismo.
Il movimento finì nel XIV sec. d.C.
3) E’ profondamente diverso il discorso
biblico e filosofico (Ps 139/138, 1-12:
Sap 1,7). “Dio è in cielo in
terra e in ogni luogo: Egli è l’immenso”
dice il Catechismo di san Pio X. Nello
stesso tempo bisogna intendere che non è
fisicamente in nessun luogo,
poiché la sua trascendenza è assoluta.
E’ la presenza per immensità,
che riguarda tutto il creato, ma Dio va
oltre il creato essendo infinito. E’ in
cielo e in terra e in ogni luogo poiché
le creature non possono avere e
mantenere l’essere autonomamente da Dio,
poiché sarebbero Dio, ma rimangono
nell’essere per volontà di Dio, che dal
nulla le ha create. Non si ha in nulla
né panteismo né panenteismo. (“Summa
theologica” I, q. 8, a, 1): ”Dio
è in tutte le cose, non già come parte
di loro essenza, o come una loro qualità
accidentale, ma come l’agente è presente
alla cosa in cui opera”. Lo
Yin-Yang è guidato dal Tao, ed è
Tao, per cui non è dovuto alle cause
seconde, che implicano un’autonomia
delle cose, create dalla Causa Prima
ex nihilo, che è la produzione
totale di una cosa. Le cose create hanno
un loro essere, una loro natura, e
agiscono in base alla loro natura,
secondo la generalissima legge
causa-effetto, e non pilotate da una
mano trascendente e immanente nello
stesso tempo. Il Taoista non si
ferma a considerare il perché avvenga
una cosa ora, in relazione alle cause
passate o presenti, ciò non è oggetto
del suo pensiero, e ha una sola
risposta: Il Tao. Lao Tse vedeva
bene che il nero di un oggetto non è
equiparabile al nero che acquista nella
notte, e il bianco di un oggetto non è
il bianco che acquista con il giorno. Il
nero e il bianco non sono solo colori
dati dalla luce, ma rivelatori dell’
essere delle cose. Vedeva che il maschio
ha un essere, e non è un astratto
maschile, e che la femmina ha un essere,
e non è un astratto femminile, tutto
questo lo vedeva bene, e non poteva che
riconoscerlo, poiché gli stava davanti
nella realtà concreta. Lao Tse fu preso,
però, dalla fenomenologia delle cose,
gli interessò nel suo misticismo
panteista il divenire non l’essere, e
così il divenire lo affidò al Tao per
mezzo dello Yin-Yang, così come
l’essere delle cose era inerente al Tao.
L’uomo parte delle “diecimila
creature”
del cosmo non dovrebbe mai essere al
disopra del Tutto, eppure si deve
concludere che nell’atto pratico l’uomo
ha un dominio sul Tao. In una società
statica, agricola, soggetta ai ciclici
mutamenti agrari e stagionali poteva
risaltare poco il dominio dell’uomo
sulle cose, ma oggi appare in maniera
ineludibile. Un’esplosione atomica,
mettendo le mani sull’energia della
materia, che una con il Tao, domina il
Tao. Si comprende come Robert
Oppenheimer, conoscitore del sanscrito,
poco prima dell’esplosione del test
Trinity (16/6/1945) poté dire queste
parole tratte dal testo induista “Bhagavadgītā”
(XI,12): “Se la luce di mille soli |
divampasse nel cielo, | sarebbe come |
lo splendore dell’Onnipotente”, e
poi, durante l’immane esplosione disse,
sempre dal “Bhagavadgītā” (XI,
32): "Sono diventato Morte, il
distruttore di mondi"; appunto, un
dio come Krsna, avatāra di Visnu.
Non esiste affatto nella Bibbia un
dominio che l’uomo possa esercitare
sulla divinità. E’ scritto (Gn 1,26: “Riempite
la terra e soggiogatela, dominate sui
pesci del mare…”;
Ps 8,7: “Gli
ha dato potere sulle opere delle tue
mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”.
L’uomo può aggredire con la sua mano il
creato, ma non Dio. Le esplosioni
atomiche, gli inquinamenti, la mancanza
di tutela del territorio, sono fatti da
coloro che (Ap 11,18) “distruggono
la terra”,
che non rispettano il mandato di
custodire il giardino (Gn 2,16), ma con
ciò non toccano Dio, poiché è totalmente
trascendente il creato. Il Taoista
vede il Tao “che
può essere detto”
(TaoTC, cap.I), cioè le cose che si
vedono, e ciò appaga il suo desiderio di
vedere il divino impersonale o la
divinità personale. Questo voler
contemplare Dio è assolutamente comune
agli uomini, ma bisogna ben sapere che
le cose indicano certo la potenza, la
bellezza di Dio (Sap 13,1.3; Rm
1,19-20), ma non sono neppur
parzialmente Dio. Questo voler vedere
Dio è la ragione più profonda del
panteismo e del panenteismo, che hanno
sempre un’intenzione di misticismo. Ma
per vedere Dio così come egli è (1Gv
3,2) bisogna accedere alla gloria
celeste, ricevendo da Dio quel
“lumen gloriae” che innalza l’uomo
a una capacità per lui assolutamente
irraggiungibile. 4) Altre cosmologie
Taoiste. Nel “Libro del principe
Huai Nan”, libro di astrologia
taoista, del (sec. II a.C.), ma che
attinge a fonti antecedenti si ha una
cosmogenesi che parte dal Caos, dal
quale emerge il Tao, il quale dà poi
ordine al Caos ponendo lo Yin e
lo Yang. Lo stesso si ha
presso il movimento dei Maestri celesti,
fondato da Zhang Daoling nel 142 d.C. Il
Tao procede dal Caos per mezzo di tre
soffi di entità misteriosa e
insondabile: Xuan, l’Oscuro, il
Misterioso; Yuan, l’Originale; Shi, il
Primordiale. Dal nome dei tre soffi di
entità misteriosa si deduce che sono
concatenati in sviluppo: prima l’oscuro,
poi il Primordiale, poi l’originale,
infine si giunge al Tao, da cui ha
origine lo Yin e lo Yang.
5) Nel (V sec. d.C.), con il
costituirsi del Taoismo in comunità
organizzata, saranno decisamente
connesse al Tao, quali sue emanazioni,
molte divinità dotate di personalità. Al
vertice di tutte le emanazioni vennero
posti i “Tre Puri” (Yu Ch’ing,
che è il Puro Giada; Shang Ch’ing, che è
il Puro Superiore; Tai Ch’ing, che è il
Puro Supremo). I Tre Puri vennero
pensati abitanti i tre cieli formatisi
dal frazionamento cosmogonico dell’etere
cosmico. Yu Ch’ing, generalmente
indicato come Yu Huang (Grande
imperatore), risulta la più alta
divinità, ed è posto nel cielo più alto,
sovrano del pantheon taoista, che si
avvicina nelle sue funzioni al Sovrano
del Cielo dell’antica religione cinese.
Shang Ch’ing, il Puro Superiore
regola l’alternarsi dello Yin-Yang, ed è
posto nel secondo cielo. Tai Ch’ing, il
Puro Supremo, viene identificato con Lao
Tse, rivelatore del Taoismo, ed è posto
nel terzo cielo). C’è nel Taoismo
religioso una grande abbondanza di
divinità per cui la sistematizzazione di
tutto il complesso del divino Taoista è
veramente un’impresa. 6) La ragione
l’uomo la possiede e la deve esercitare
nell’ambito delle sue possibilità di
altezze, per giungere a risultati
filosoficamente oggettivi. Oltre tali
altezze, ci sono le superiori altezze
della fede e dell’unione con Dio, dove
l’intelletto, già illuminato dalla fede
in Colui che ha voluto rivelarsi, entra
nell’oscurità della fede, dove
l’intelletto è in tale luce abbagliante
che per lui diventa oscurità. Parole
queste tratte dai mistici cristiani.
Scrutare razionalmente il mistero
vorrebbe dire scartare la luce della
fede, cadendo nel razionalismo. Lao
Tse intende togliere all’uomo non solo
la capacità di giungere per via
razionale a Dio trascendente e creatore,
ma anche l’attitudine razionale di
cogliere le ragioni per cui si possa
credere fermamente a un messaggio. Il
Taoismo si rifugia nell’esperienza
mistica e a chi fa osservazioni
razionali e ragionevoli gli viene detto
che nulla può dire perché non ha
l’esperienza mistica dovuta. A ciò però
si può opporre subito che se l’uomo la
ragione ce l’ha la deve usare per
controllare se quanto crede sia
credibile. Il Taoista non può
accedere ad avere un maestro se prima
non ha avuto un’esperienza mistica di
chiamata, ma bisognerà pur controllare
su quale fondamento posa tale
esperienza. 7) Il grande enunciato
di san Tommaso: “Gratia non tollat
naturam, sed perficiat” (“Summa
theologica” I, q.1, a. 8, ad 2),
spesso espresso così: “Gratia non
destruit sed supponit et perfecit
naturam” poteva essere applicato da
Matteo Ricci a Confucio, vedendo nei
suoi scritti la presenza di un’etica
naturale. San Tommaso nel medesimo punto
prosegue: “La sacra dottrina
utilizza anche l’autorità dei filosofi
dove essi con la ragione naturale
valsero a conoscere la verità, come fece
san Paolo (At 17,28)”.
Fonti consultate
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Enciclopedia Cattolica, ed. Sansoni, 1953 Firenze.
Giles, Lionel, tr. Taoist Teachings from the Book of Lieh Tzu. London: John Murray, 1912.
(Testo in internet): oaks.nvg.org/lieh-tzu.html
Graham, A. C. The Book of Lieh Tzu: A Classic of Tao. Morningside rev. ed. New York: Columbia University Press, 1990.
(Testo in internet): terebess.hu/english/tao/Graham-Lieh-tzu.pdf
“Chuang-tzu”, traduzione Fausto Tomassini, Editori associati. Milano 1989.
(Testo in internet): gianfrancobertagni.itmateriali/tao/chuangtzu.htm
"Tao Te Ching", di Lao Tzu, traduzione Luciano Parinetto, Edizioni La vita Felice. Milano 1995
(Testo in internet): spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/tao-te-ching.html
“Morte nel taoismo”: reseaechgate,nel/pubblication/288828765_Morte_nel:Taoismo
wikipedia.org/wiki/Taoismo
filosofico.net/iltaoismo.htm
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luciosotte.it/i-principi-della medicina-cinese/
wikipedia.orgwiki/Sessualit%C%A0¬_taoista
facebook.com/notes/introduzione-al-taoismo/taoismo.depoca-tang.618-907-dc/885411268245719/
silviocalzolari.org/alchimia-cinese-e-sincronicità
eticamente.net/46671/taoismo-la-religione-che-ci-invita-allequilibrio-degli-opposti.html gianfrancobertagni.itmateriali/tao/wuwei.htm
filosofico.net/Antologia_file/AntologiaT/TAOISMO_%20IL%20TAO%20TE%20CING.htm
wikipedia.org/wiki/Zhang_Daoling
wikipedia.org/wiki/Confucio
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