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La città di
Sorso è situata tra le aree della Nurra e del Logudoro a
quattro kilometri dalle rive del Golfo dell'Asinara.
Essa appartiene alla Provincia di Sassari e vanta
origini antichissime fino al Neolitico. In particolare
le radici dell'attuale borgo risalgono ad un
insediamento romano. Nel 1200 faceva parte del Giudicato
di Torres per passare poi nel 1300 sotto il dominio dei
Pisani. Verso la fine del 1300, caduta la Repubblica
Sassarese, Sorso passò ad una baronia Aragonese e
successivamente sotto il dominio della Corona di Spagna.
Nel 1720 la Casa Savoia subentrò agli Spagnoli
costituendo il Regno di Sardegna. La popolazione attuale
conta circa 14600 abitanti, ma al tempo (1208)
dell'apparizione mariana, che caratterizza il Santuario
"Noli me tollere", non doveva contare più di 500
persone, in ragione delle pestilenze, delle guerre e
delle piraterie. Nel 1300 in tutta la Sardegna non si
avevano più di 70000 presenze. Al tempo dell'unità
d'Italia Sorso contava circa 4500 abitanti, per poi
crescere continuamente fino agli attuali. L'economia è
prevalentemente agricola specializzata in vigneti con
produzione di vini tipici: Cannonau, Vermentino,
Moscato. I frati Cappuccini, custodi del Santuario "Noli
me tollere", giunsero a Sorso nei primi decenni del
1600. |
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Era il maggio del 1208 quando da Sorso (Sossù) un uomo,
afflitto da mutismo, si avventurò verso il litorale per raccogliere
arbusti secchi per il focolare.
Mentre affastellava bacchetto dopo bacchetto, ecco che vide sulla
spiaggia un'immagine della Madonna con il Bambino. Cosa fare?
Indubbiamente pensò che, essendo un'immagine sacra, la cosa
riguardasse i sacerdoti e che, muto com'era, non avrebbe potuto
farsi capire. L'uomo era esitante ad ogni azione, ma ecco che gli
apparve la Vergine che gli disse: “Figlio, torna al paese a dire
ai sacerdoti e al popolo che vengano qui a prendermi. Vai, figlio,
perché potrai parlare”. L'uomo giunto in paese cominciò a cercare di farsi capire a gesti,
ma senza risultati, poi di colpo cominciò a parlare comunicando
l'apparizione e il rinvenimento dell'immagine. Il documento di padre
Benedetto da Ozieri, scritto nel 1636, riporta i fatti sulla base
di dati fissati in idioma sardo dal pievano Silanos presente a Sorso
nei primi decenni del XVI secolo. Così, nel documento scritto in
spagnolo, viene presentato il discorso dell'ex muto: “Signori,
sappiate che ero intento a trasportare un fascio di legna quando
passai vicino alla riva del mare, e lì incontrai una signora molto
bella, la quale emanava raggi di luce dal suo viso, che mi disse di
venire qui a dirvi da parte sua che si andasse a prenderla”. Il
documento poi dice che il popolo andò sulla spiaggia: “trovarono
la Santissima Immagine che si venera nella chiesa di Noli me Tollere”.
Risulta subito evidente che l'Apparizione non poteva dire di
andarla a prendere senza alludere all'immagine. Il discorso
della Vergine sarebbe apparso insensato a tutti e allo stesso muto.
Parlare poi di immagine miracolosamente formatasi è lasciarsi andare
alla leggenda.
Quando padre Bernedetto
da Ozieri prese carta, penna e calamaio, la Madonna “Noli me
Tollere”, appariva come il gusto degli spagnoli l'aveva
trasfigurata. Un volto di stucco colorato carnicino dello spessore
di circa 10 mm copriva l'autentico. Le mani erano belle e
affusolate, non sotto i piedi del Bambino, ma stringenti il Bambino
come fosse seduto sulle ginocchia della Madre. Tutta l'immagine era
avvolta di un manto con ricami in seta e oro. Padre Benedetto
certo, aveva visto che sotto la veste c'erano le mani originali e
che le braccia originali erano state tagliate per far posto ad altre
di stoffa alle quali erano innestate le mani di stucco, ma la
preoccupazione dell'estensore fu quella di non intaccare il clima di
devozione verso l'Immagine così confezionata, che ormai era radicato
nel popolo e non parlò di queste cose. Così, lasciò intendere che
l'Immagine ritrovata sulla spiaggia a Rena Bianca era di mano
divina. Un errore quello di padre Benedetto di non aver precisato
le cose, e gli errori costano sempre qualcosa; così, quando nel 1936
l'Immagine venne finalmente spogliata dal rivestimento spagnolo e
restaurata non pochi cominciarono a pensare che i frati avessero
nascosto l'Immagine vera. |
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Il simulacro
Noli me Tollere ha tutte le caratteristiche di un'immagine
venerata a bordo di una nave mercantile medioevale: una
Cocca Mediterranea, antesignana del Vascello. Lo si deduce
dal luogo del ritrovamento (spiaggia) e dalle dimensioni
dell'immagine sacra commisurate al piccolo spazio del
cassero di una Cocca Mediterranea. Le immagini sacre nelle
navi del medioevo venivano infatti collocate dentro il
cassero e fissate su di un altarino.
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A che data
risale tale immagine? Alcuni hanno avanzato l'ipotesi che
sia di stile bizantino, ma l'egemonia bizantina sul
Mediterraneo era tramontata da alcuni secoli.
L'immagine non fornisce dati di stile da collegarsi
strettamente ad un'epoca, anche se un sapore bizantino
realmente lo possiede. Elementi dell'Immagine che possano
mettere in discussione il tempo indicato da padre Benedetto
da Ozieri non ne esistono.
L'immagine era dipinta con gusto del colore, ma lo scultore
era di modesta capacità, non un artista del legno; infatti,
osservando la foto dell'immagine prima del restauro si nota
come le mani della Vergine, a sostegno del Bambino, fossero
fuori proporzione. Il restauro del 1936 ha corretto tale
sproporzione.
Padre Benedetto da Ozieri riferisce che al tempo dell'Apparizione
c'era una pressione dei Saraceni per la conquista della Sardegna, ma
in realtà la pressione conquistatrice islamica era già stata vinta
con l'intervento dei Pisani e dei Genovesi e nel 1052 era cosa
fatta. Invece erano presenti le azioni dei corsari saraceni. Le navi
corsare partivano dalle isole Baleari, allora occupate dall'Islam, e
si appostavano nelle numerose “cale” dell'isola dell'Asinara
per poi giungere veloci sulle terre del Golfo. Le navi corsare, i
cui equipaggi erano molto abili, attaccavano, sospinte dallo strenuo
sforzo degli schiavi incatenati ai remi, le navi mercantili nella
speranza di fare bottino dell'argento proveniente dalle miniere
della Nurra e trasportato in Italia dalle navi Pisane. Nel 1208 si consumò il dramma dell'assalto ad una nave cristiana. Se
mi è consentito immaginare quel dramma, un marinaio cristiano gettò
al momento dell'arrembaggio l'immagine della Madonna col Bambino in
mare non volendo che fosse ridotta a pezzi dalla furia iconoclasta
dei saraceni; ma, forse, poté essere anche un saraceno, che, avendo
rispetto verso Maria secondo quanto dice il Corano, non fece a pezzi
l'immagine, ma la gettò semplicemente in mare.
L'immagine ritrovata sulla riva venne portata nella chiesa
parrocchiale di san Pantaleo il 26 maggio, e subito si innalzarono
suppliche alla Vergine per i tanti bisogni delle famiglie, delle
campagne, e principalmente per la liberazione dalle incursioni della
pirateria. Tutto lasciava pensare che l'Immagine rimanesse nella chiesa
parrocchiale, al centro del piccolo paese, che allora non doveva
contare più di 500 abitanti. Si pensi infatti che in tutta l'isola
nel XIII secolo erano presenti solo 70.000 abitanti. Tutto lasciava
pensare che quella sarebbe stata la collocazione definitiva
della statua: la volontà dei sacerdoti e la docilità del popolo alle
loro indicazioni. Le cose andarono altrimenti poiché la mattina del giorno dopo
l'Immagine non era più nella chiesa. La cosa fu per tutti un enorme
interrogativo. Il giorno dopo, il 28 maggio, un uomo, mentre stava
recandosi a vedere i suoi buoi al pascolo, vide l'Immagine collocata
su di un olivo selvatico, un hazibuche. Probabilmente si
pensò che l'Immagine fosse stata derubata da qualcuno che poi si era
pentito e l'aveva lasciata su quell'olivo, ma ovviamente era
difficile trovare un movente per tale furto. La vigilanza a san
Pantaleo diventò più accurata, ma la scomparsa si ripeté nuovamente,
e nuovamente l'Immagine venne ritrovata sopra lo stesso olivo
selvatico. Sotto l'immagine c'era una pietra marmorea con scritto “Noli
me tollere”. Il popolo però si espresse nel proprio idioma così
che l'immagine sacra venne detta Oli Metola oppure
Oli Metolla. Non c'era dubbio; la Madonna voleva che fosse costruita in quel
luogo una cappella in suo onore e vi venisse collocata l'Immagine. I
sacerdoti compresero e la cappella venne costruita. Così dice padre
Benedetto da Ozieri: “Il discreto parroco, i sacerdoti e i
notabili, compresero che era volontà di Dio e della sua Santissima
Madre che lì le costruissero una chiesa (...): Il 4
giugno dello stesso anno 1208, domenica (in realtà, secondo il
calendario perpetuo era un sabato), si riunirono tanto gli
ecclesiastici che i laici; formarono una devota processione al luogo
dell'anzidetto azebuche (prima padre Benedetto aveva scritto
hazibuche) e lì tracciarono una croce, che era la forma della
chiesa”.
Questo
scomparire della statua dalla chiesa, per poi essere
ritrovata su di un azebuche per due volte, secondo
un diffuso modello narrativo di decisione divina di un luogo
piuttosto che un altro, è da ascriversi a chi voleva
costruire una cappellina per l'Immagine separatamente dalla
chiesa parrocchiale. Su di una lastra marmorea che sosteneva
l'Icona tra i rami dell'azebuche venne scritto: "Torre
noli", che vuol dire "Non mi togliete". La
scritta sulla lastra di marmo risulta fatta da una mano
lontana dal sapere fare un'iscrizione. Il parroco,
indubbiamente chiedendo consiglio al Vescovo, diede spazio
alla costruzione della cappellina. Durante la costruzione
della cappellina l'Immagine rimase nella chiesa
parrocchiale, per poi essere portata nella sede che le era
stata costruita. La traduzione in latino "Noli me
tollere" fu un evento successivo. |
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La
lastra marmorea (recuperata da qualche parte) subì nel tempo un atto
di vandalismo rimanendo sostanzialmente integra e
venne murata all'interno del santuario, con
l'autentica di una apposita lapide. La scrittura
della lastra marmorea segue
l'andamento del bordo aumentando l'altezza delle
lettere. Vi si legge chiaramente "TORRE NC". La O
non è completa per la rottura della lastra. La
lastra presenta in alto il resto di una data dove si
può leggere il numero "V", cioè "maggio"; difficile
interpretare il numero VII, allineato con la parola
CUBO: forse il giorno nel quale l'Immagine venne
posta tra i rami dell'azebuche. La parola
CUBO deriva, per abbreviazione, da CUBICOLO (cubiculum;
da cubare: riposare),
che era una stanza di riposo nelle case romane. La
parola CUBO, senza preoccupazioni linguistiche,
venne adottata per dire che quel luogo, dove era
stata portata l'Immagine, era il luogo dove la
Madonna voleva dimorare. Chiaro che la scritta non è
in latino e neppure in dialetto sardo, e certamente
deriva da influssi provenienti dalla penisola, in
particolare si può pensare al mondo pisano, o
genovese. Pisa, dopo un tempo di influsso, giunse
nell'anno 1200 ad avere il dominio sul Giudicato di
Gallura e di Calari (Cagliari). Un influsso Pisa
l'aveva anche nel Giudicato di Torres, che però
preferì accordarsi con Genova, la quale giunse al
controllo del Giudicato di Torres nel 1284 con la
sconfitta dei pisani nella battaglia navale della
Meloria, al largo delle coste di Livorno.
A
Sorso prese l'avvio una rinnovata
devozione a Maria.
I frati Cappuccini presero in consegna la
chiesetta nel 1630, dopo che per alcuni anni
l'avevano officiata i Frati Minori Osservanti. I
Cappuccini ampliarono la chiesa e vi costruirono
accanto il loro convento.
Bibliografia
Padre Giulio Baldus, cappuccino: “Sorso, ecco tua Madre!”,
Giubileo 2000. Gian Paolo Ortu: “Noli me tollere, il culto mariano
a Sorso fra storia e leggenda”, Ed. Carlo Delfino, 2007.
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Album fotografico |
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